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La casa comune. La cura dell’ambiente rimedio alle disparità
La casa comune Le diseguaglianze sociali ed economiche, accentuate dalla pandemia, possono ridursi. Come? Con un cambio di rotta verso le energie rinnovabili
IdeeLa casa comune Le diseguaglianze sociali ed economiche, accentuate dalla pandemia, possono ridursi. Come? Con un cambio di rotta verso le energie rinnovabili
Sul palmo di una mano sorregge la Terra da proteggere come bene comune.Nell’altra mano, invece, l’eguaglianza sociale raggiungibile proprio attraverso politiche ambientali efficienti. Li tiene sullo stesso piano Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto: nel futuro, in questo prossimo futuro, è imprescindibile tenerli assieme. E invita la Diocesi di Padova, a partire proprio dal messaggio veicolato dalla Laudato si’, a ragionare in collaborazione, a dialogare per essere impatto fecondo sul territorio, ora che è tempo di Sinodo, ora che è tempo di camminare stretti stretti: «Con la Chiesa possiamo provare a spingere questi temi nelle agende degli amministratori locali. Un impegno verso la decarbonizzazione, magari attraverso comunità energetiche il cui obiettivo non è solo diminuire CO2, ma anche le disuguaglianze economiche. A San Giovanni a Teduccio, a Napoli, con la parrocchia locale Legambiente è riuscita a realizzare un impianto fotovoltaico in un’area complessa, un aiuto ad alleggerire i costi delle famiglie. È un progetto che nasce mettendosi in rete, sensibilizzando e facendo capire la necessità reale. I temi sono concatenati, dalla crisi ambientale globale al nostro vicinato: pensiamo al recupero delle eccedenze alimentari, ambito su cui la Diocesi da Padova è sempre attenta. Meno cibo si spreca, meno scarti vanno a incidere sugli impianti di rifiuti, più si può sfamare chi ha bisogno. Non possiamo pensare sconnessi, altrimenti il rischio è che si persegua una strada sbagliata perché il disagio economico riguarda anche chi non ha un lavoro stabile».
Insomma, il rincaro nelle bollette è una conseguenza dello scacchiere energetico, politico ed economico globale. Soprattutto è conseguenza della nostra dipendenza energetica?
«L’aumento del prezzo finale di gas ed energia elettrica, in qualche modo, ci fa aprire gli occhi su quanto siamo indietro nell’emanciparci da approvvigionamenti derivanti da altri Paesi. Il Veneto deve far affidamento al di fuori dei suoi confini per soddisfare una domanda massiccia derivata da un tessuto molto industrializzato e ci fa comprendere che non abbiamo sviluppato fonti rinnovabili a sufficienza, sia per normative nazionali sia per disimpegno delle politiche più territoriali. La transizione ecologica doveva essere l’arma del cambiamento sia per la pandemia sia la crisi climatica su cui abbiamo impegni collettivi da rispettare: un anno fa con l’avvento di Draghi e del Pnrr ci sembrava una strada finalmente imboccata; oggi, invece, si sente parlare di nucleare come elemento su cui puntare l’impegno del nostro Paese. No, detta così, il nostro futuro è nebuloso».
Nebuloso anche perché l’aria è costantemente inquinata come rilevano le colonnine di Pm10 disseminate nelle città venete. Eppure è possibile che da questi due anni di lockdown e Covid-19 non abbiamo imparato nessuna lezione?
«Mareggiante, allagamenti, alluvioni le abbiamo sempre affrontate col senno del poi, con l’intervento a posteriori e con poca volontà di mettere in piedi modelli preventivi. Il Veneto è sprovvisto di un piano di adattamento climatico per le popolazioni più esposte, tra cui Venezia. Ma la pandemia ci sta lasciando l’idea di considerare la socialità all’aperto come elemento che entra a far parte nel nostro modo di vivere: aree verdi da frequentare; zone pedonali, bike lane per garantire uno spazio ciclabile e pensati proprio quando le auto erano ferme; una maggiore vivibilità degli argini e dei corsi d’acqua. Le passeggiate ci ha fatto capire anche quanto la qualità dell’aria che respiriamo sia importante, ci siamo dimenticati che da oltre vent’anni conviviamo con un’aria scadente. Questo è sotto gli occhi di tutti perché abbiamo iniziato a vivere l’ambiente circostante, uscendo dai soliti nostri itinerari casa-lavoro. Quest’abitudine non possiamo smarrirla, non possiamo più guardare altrove o disinteressarci. Dev’essere uno stimolo per un benessere condiviso e non solo più esclusivo. Senza dimenticare l’impegno che come umanità abbiamo preso nei confronti del Pianeta terra e delle future generazioni: il riscaldamento è un punto di non ritorno e noi siamo tanto vicini».
«Nei nostri dossier abbiamo parlato di “sindrome Nimby” dei cittadini (Non nel mio giardino) e “Nimto” degli eletti (Non nel mio mandato), una doppia ostilità verso nuovi impianti di fonti rinnovabili, una tendenza a slittare, posticipare il prendere in carico decisioni importanti. Questo ha consentito, per esempio, alla Regione Veneto già nel 2012 di mettere in campo una legge per arginare lo sviluppo del fotovoltaico, certamente per evitare di inondare i campi agricoli, ma dopo dieci anni queste regole di contenimento si sono solo inasprite».