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L’importanza di mettersi in discussione. Due idee dopo il flop della Nazionale fuori dai Mondiali
Due idee dopo il flop della Nazionale fuori dai Mondiali
IdeeDue idee dopo il flop della Nazionale fuori dai Mondiali
Noi non eravamo nello spogliatoio del Barbera di Palermo prima di Italia-Macedonia del Nord, venerdì sera. E per fortuna non ci eravamo nemmeno dopo, vista la cocente eliminazione dal Mondiale e lo schifo di spazzatura, avanzi di cibo e mozziconi di sigaretta lasciati dai nostri. Noi non eravamo nemmeno a Coverciano in questi mesi che sono seguiti al trionfo di Wembley e hanno preceduto il naufragio di pochi giorni fa. Onestamente non ci sentiamo neppure così preoccupati per l’attaccamento (o meno) al calcio delle generazioni più verdi che non riescono più a seguire un Mondiale con gli Azzurri. Semmai, qualche pensiero ci viene captando qua e là segnali sulla gestione dei settori giovanili, sulle “scorciatoie” scelte dalle società che prendono calciatori in erba fatti e finiti all’estero, anziché impegnarsi a coltivare campioncini in proprio: ci chiediamo quante possibilità – a livello sociale oltre che sportivo – stia perdendo un Paese che per il suo sport nazionale sceglie costantemente ragazzi da fuori, mettendo in molti casi il mercato (cioè i profitti) davanti ai risultati sportivi.
Al di là di tutto questo – su cui gli esperti potrebbero dire molto di più e molto meglio rispetto a noi – dall’eliminazione della Nazionale da Qatar 2022 proviamo a trarre due idee, non di più. La prima: quando ci si sente arrivati, non ci si mette più in discussione, si danno per scontate le nostre capacità e quindi i risultati da ottenere, quello è il momento in cui si smette di crescere, e non solo nel calcio, ma anche nelle relazioni, nel lavoro, perfino nella pastorale. Quello è esattamente il momento in cui trionfa il “si è sempre fatto così”. Adagiarsi, percorrere strade battute, cullarsi nell’idea di essere forti e meritare per quanto ottenuto nel passato – recente o remoto – fa parte della natura umana, è dentro di noi. Ma i veri campioni sono altro: certo, ci vogliono motivazioni forti, la capacità di mantenere concentrazione sull’obiettivo finale e, soprattutto, una grande umiltà per continuare a mettersi in discussione. Ma è solo così che possiamo renderci conto di quanto ancora abbiamo da imparare, in tutti i campi; di quante sfide ci siano davanti a noi se solo accettiamo di affrontarle.
Non si tratta di minare certezze acquisite o di voler cambiare per il semplice gusto di farlo: si tratta semmai di non arroccarsi nelle nostre visioni, pensando che siano le uniche percorribili, anche se ci sono dei dati a suffragarle. Mettersi in discussione significa anzitutto praticare fino in fondo quell’ascolto che anche la Diocesi di Padova sta sperimentando in questo primo anno di cammino sinodale che ci porta all’apertura del 5 giugno.
La seconda idea riguarda invece la costanza. Se mettersi in discussione è complesso di per sé, farlo sempre e comunque – con la convinzione che solo così possiamo migliorarci – è davvero difficile. Eppure la costanza rimane centrale, per costruire non basta fare bene qualcosa una sola volta (come vincere un Europeo dopo cinquant’anni). È questione di atteggiamento, di stile, un fattore permanente su come si approccia la vita, lo sport, anche l’educazione: alla fine quel che conta è essere presenti, consapevoli, in ogni momento.
È un’idea che ha a che fare con la potenza della goccia che minuto dopo minuto edifica stallatiti e stalagmiti, apre varchi nella roccia, crea valli e canyon. La grande impresa una tantum lascia stupefatti e ammirati (specie se inattesa), ma la costanza, la performance ripetuta nel tempo, la capacità di rimanere sui propri livelli nel tempo, tutto questo lascia il segno, incide la realtà nel profondo e può cambiare il corso della storia. L’allenamento non ha che fare solo con lo sport, ma con l’essere uomini e donne, professionisti capaci, genitori efficaci, perfino con l’essere cristiani.
Comprendere quali sono i gesti che contano, quale la postura d’animo per compierli al meglio, gustare giorno dopo giorno tutte le cose che facciamo nei ruoli che rivestiamo: questo fa di noi un punto di riferimento affidabile per gli altri.