Idee
A Zanè tre mamme e i loro figli fuggiti dall’Ucraina. Una vita da ricostruire
A Zanè, Iana, Olesia e Anna sono accolte assieme ai loro figli. Storie differenti, ma una stessa convinzione: sono al sicuro, ma con il desiderio di agire
IdeeA Zanè, Iana, Olesia e Anna sono accolte assieme ai loro figli. Storie differenti, ma una stessa convinzione: sono al sicuro, ma con il desiderio di agire
Iana si isola dalla conversazione. Ha costantemente il suo smartphone in mano per aiutarsi e aiutarci a tradurre domande e risposte, ma in realtà sta cercando una foto. Ce la mostra: è un angolo di Kiev, si vede in primo piano un edificio sventrato, è in piedi, ma è dilaniato da un lato e appena dietro un altro palazzo, miracolosamente intatto. È lì che abitava ed è in quel momento che ha deciso di scappare.
Iana ha 41 anni e da una settimana è a Zanè, in provincia di Vicenza, accolta negli spazi della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, assieme ai suoi figli e ad Anna, Olesia e ai loro bambini. In tutto sono otto, anzi quasi nove. Anna, che ha 29 anni, è incinta e aspetta una bambina. Non hanno ancora deciso il nome, ma potrebbe chiamarsi Sofia: «Nascerà a settembre e chissà se verrà alla luce qui in Italia o in Ucraina. Dipende dalla guerra: io vengo da Poltana ed è una zona molto sensibile perché vicino a basi militari». Il suo futuro, a prescindere dai contorni, sarà pensare alla sicurezza sua e della bambina che porta in grembo. Per arrivare in Italia ha cambiato quattro pullman in cinque giorni ed è qui perché a Santorso vive sua madre. In Ucraina lavorava in un centro estetico come parrucchiera e alla domanda su come possa evolvere il conflitto lei è decisa: «Bisogna attuare la no-fly zone. Finché la Russia avrà la possibilità di sorvolare i cieli e colpirci dall’alto questa guerra non finirà perché non riusciremo a vincere». Annuisce anche Olesia. Lei ha 34 anni, sposata, viene da Leopoli e ricorda lo spavento e la preoccupazione quando ha sentito i primi aerei tagliare i suoni della sua routine. È una giornalista freelance, collabora con un giornale locale, e lavora anche con un’azienda che produce pane e panificati. A Vicenza ha una cugina che le ha consigliato di venire in Veneto, fra le tre è la meno idealista e pur ringraziando apertamente per l’accoglienza e l’ospitalità che hanno dimostrato tutta la comunità e la cooperativa Nova soprattutto con Monica Tresso, referente del progetto accoglienza migranti, il suo pensiero è costantemente al suo Paese e ai suoi cari: «Io qui sto bene, in questi giorni c’è sempre il sole ed è piacevole, mentre a Leopoli piove sempre e sembra un po’ Londra. Mi manca casa, mi manca mio marito, i miei genitori e i nonni. Se non fosse per i miei figli, non avrei lasciato l’Ucraina, dovevo pensare a loro. Solamente arrivati al confine e parlando con i volontari, abbiamo realmente capito la gravità di questa guerra che finirà solamente quando il popolo ucraino uscirà vincitore da questo genocidio».
La “lotta” interiore di Olesia è la stessa di molte altre sue connazionali. Il cuore le dice di tornare, ma essere al sicuro ed essere al di fuori significa anche poter raccontare, poter essere testimoni nel futuro. Si convince, mentre parliamo, che sono entrambe scelte coraggiose, ma lei vorrà essere lì quando giungerà il tempo di ricostruire tutto e si augurano che non siano lasciati soli. Iana continua a trovare foto dal suo smartphone. Sono istantanee della sua vita. È sposata, ma è in fase di divorzio; è una designer di mobili, mostra foto di progetti di cucine e altri ambienti della casa che progetta. In questi anni ha lavorato con diverse aziende e fabbriche italiane ed è stato proprio uno di questi contatti a suggerirle di venire in Italia. È nata a Mosca, suo padre vive tuttora lì e quando si sentono lui ribadisce ancora oggi quanto non credesse di arrivare a un conflitto: «“No, non può succedere”, mi diceva per telefono». Ha tre figli, uno di 18 anni è in guerra e mostra il suo viso: «È iscritto al politecnico, frequenta il primo anno, ora è responsabile del servizio militare. Tutto quello che so è che sta bene, ma è spaventato: è ancora un bambino, è il mio bambino».
Con l’ultimo aggiornamento che risale a venerdì 6 maggio, sono 16 parrocchie all’interno della Diocesi di Padova che, assieme al prezioso aiuto di Caritas e delle cooperative del territorio, hanno messo a disposizione spazi e strutture per accogliere le cittadine e i cittadini ucraini. Anche se hanno raggiungo la capienza massima, si potrebbero ospitare fino a 112 profughi.