IdeeTommaso Carollo di Thiene è tra le sette vittime accertate. Ma non era uno sprovveduto: il suo sguardo aveva imparato a conoscere quel ghiacciaio
Ci sono Filippo, Tommaso, Paolo. Delle sette vittime, solamente loro tre sono stati identificati. La montagna ha restituito finora sette corpi senza vita e otto feriti, due dei quali in maniera grave. Sono le ultime indicazioni prima di andare in stampa. Mancano all’appello cinque persone, di cui tre straniere e sembra siano dieci i veneti coinvolti. «Poche speranze per i dispersi» affermano i soccorritori che in maniera encomiabile stanno portando avanti le ricerche giorno e notte. Una tragedia che diversi glaciologi dicono «imprevedibile» nonostante le temperature di queste settimane siano sopra la media del periodo: in una bella giornata soleggiata, mai si sarebbe pensato a un distacco di questo tipo in quei luoghi. Un anziano montanaro della zona ha affermato che a memoria d’uomo non aveva mai visto un distacco di questo tipo su quelle montagne.
Ma è successo, portandosi via chi quel giorno avrà pensato a tutto ma non certo a una morte così. Tra questi anche Tommaso Carollo, 48 anni, manager, originario di Thiene e residente a Zané, nel Vicentino. La compagna è invece miracolosamente sopravvissuta ed è tra i feriti ricoverati all’ospedale di Trento. Certamente Tommaso non si può dire fosse uno sprovveduto delle cime: diverse volte era salito – che fosse con i ramponi o con gli sci ai piedi – su quel ghiacciaio, lo conosceva bene. Ero con lui, in quella zona, il weekend del 17 aprile scorso: al lago di Fedaia (punto di partenza a 2.053 metri di altitudine) la giornata serena, poche nuvole all’orizzonte, una frescura mattutina che lasciva presagire che quel giorno la neve e il ghiaccio avrebbero “tenuto” ancora per permetterci un’escursione in sicurezza con gli sci ai piedi (nell’alpinismo si usa attrezzare con pelli di foca la base dello sci per salire senza scivolare a valle) e, una volta in vetta, tolte le pelli, si sarebbe discesi facendo circa il percorso della salita. Destinazione? Eravamo partiti con il desiderio di arrivare a punta Penia (3.343 metri, la punta più alta della Marmolada) che ospita un piccolo, rustico, ma accogliente rifugio gestito da Carlo Budel, conosciuto soprattutto per il suo strudel il cui profumo anticipa l’arrivo degli alpinisti al punto di ristoro. C’era però un fatto non trascurabile: quella mattina alcuni escursionisti scesi prestissimo dalla cima ci avevano avvertiti che erano presenti rocce instabili in un punto delicato della salita. Ricordo ancora lo sguardo buono, “onesto” di Tommaso: è bastato quello – nonostante non ci conoscessimo da molto tempo – per farmi capire che dovevamo rimettere in questione il nostro progetto iniziale. Sarebbe stato bello giungere insieme alla vetta principale della catena montuosa, ma il rischio sarebbe stato troppo. Ci siamo confrontati e abbiamo optato per punta Rocca (una cima poco più bassa, a fianco del seracco staccatosi): la giornata è stata comunque bellissima. Anche domenica avrà ragionato su cosa fare, se salire, per quale percorso addentrarsi. Poi l’ineluttabile. Nella preghiera del soccorritore alpino c’è un passaggio: «Aiutaci a rispettare e ad avere cura del Creato e apri il nostro cuore ai poveri e agli svantaggiati (…) Dona guarigione ai feriti e accogli tra le tue braccia i defunti. In ogni cosa sii tu il nostro salvatore, con la forza dello Spirito Santo, per Cristo nostro Signore, oggi e alla fine dei nostri giorni. Amen».
Tommaso era un esperto alpinista e amava la Marmolada. Su quella montagna era andato con la compagna Alessandra de Camilli, residente a Schio. Lei è riuscita a salvarsi. Tommaso lascia un figlio di 9 anni.
