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15 marzo, Giornata del fiocchetto lilla. Il cibo come una ferita
15 marzo, Giornata del fiocchetto lilla. Aumentano i casi e si riduce l’età media di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare
Idee15 marzo, Giornata del fiocchetto lilla. Aumentano i casi e si riduce l’età media di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare
Il vuoto dentro, la fatica di vivere, il bisogno di consolazione e il cibo che ti gratifica e nello stesso tempo ti distrugge. Un comportamento che molti utilizzano e che in molti non capiscono di subirlo. «Bulimia e anoressia sono le facce della stessa medaglia – spiega la psicoterapeuta Marisa Galbussera, responsabile di Ananke Veneto, il Centro per la cura dei disturbi alimentari – Quasi tutte le storie cliniche iniziano con un periodo di forte restrizione e nascono da un episodio scatenante che può essere impegnarsi in una piccola dieta, oppure una separazione, cambiare scuola o città, essere lasciati dal partner. Di solito c’è un elemento scatenante che però non è mai la vera causa del disagio. Poi inizia la dieta, si comincia a restringere sempre di più l’alimentazione fino a quando la persona non riesce più a tenere sotto controllo la fame e anche il desiderio di mangiare e quindi si abbuffa e molto spesso trova l’escamotage del vomito. Inizia una specie di posizione pendolare tra la fame e il vomito ch
Si abbassa sempre più l’età mediaFunzionano così i “disturbi alimentari” che da tempo rappresentano un grave problema e che con la pandemia sono schizzati alle stelle: «Con la pandemia si è scatenato l’inferno – non usa mezzi termini Marisa Galbussera – Il cibo è una droga che si trova in casa, non c’è bisogno di andarsela a cercare. Il ministero della Salute indica un aumento del 33 per cento, ma noi pensiamo sia maggiore perché ogni settimana arrivano casi nuovi e si sta abbassando l’età di insorgenza del disturbo: ragazzine delle medie e addirittura delle elementari cominciano già la loro “carriera” anoressico-bulimica. Ma il fenomeno non riguarda solo i giovani, adolescenti e preadolescenti, ma anche gli adulti: noi stiamo seguendo alcune donne e anche qualche uomo con più di 50 anni con problemi di binge eating (letteralmente abbuffata di cibo, ndg) la pratica di un’alimentazione incontrollata, abbuffate che si ripetono spesso senza l’atto compensatorio del vomito». e serve per tenere sotto controllo la fame e il peso».
Bisogna entrare nelle scuoleIl problema è così drammatico che dal 2012 ogni 15 marzo ricorre la Giornata del fiocchetto Lilla, un appuntamento che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso le testimonianze di persone che hanno vissuto la malattia in prima persona. L’Istituto superiore di sanità, in occasione della giornata del 2022, ha fornito alcuni dati sul piano nazionale, confermando l’aumento della patologia con nuovi casi e casi in trattamento pari a 2.398.749 pazienti, un dato sottostimato poiché esiste in questa patologia una grande quota di pazienti che non arriva alle cure. Il “disturbo alimentare” è un disagio innanzitutto psichico: le ragazze avvertono un senso di vuoto profondo, uno stato un po’ depressivo. A volte dietro ci sono traumi, abusi, conflittualità elevata all’interno del sistema familiare, bullismo oltre che situazioni vissute internamente come altamente conflittuali: «Non necessariamente c’è una famiglia disgregata o che a prima vista presenta chissà quali problematiche – ragiona la dottoressa – Spesso il quadro è quello delle ragazze modello, studiose, in gamba che fanno sport ad alto livello, suonano strumenti. Sono ragazze molto performanti, ma a un certo punto questo si ritorce contro di loro. Soffrono di un legame sbagliato con l’altro, di una dipendenza affettiva, e occorre lavorare su forme di socializzazione che possano aiutare i giovani a creare delle relazioni sane perché la prevenzione non passa attraverso l’informazione: questa può essere utile soprattutto a livello di prevenzione secondaria perché informandosi una persona si può rendere conto di avere un problema e quindi chiedere aiuto. Per questo è necessario entrare nelle scuole per fare in modo che le problematiche sotto traccia possano essere riconosciute. Si deve alzare l’attenzione anche perché, purtroppo, non si può fare molto in termini concreti»
L’esperienza di chi è riuscito a uscirneGiulia Roverato, vicepresidente dell’associazione Alice per i DCA (acronimo che sta per Disturbi del Comportamento Alimentare), ha combattuto il “disturbo” e ha saputo trasformare questa esperienza in un aiuto agli altri: «Mi sono interfacciata su internet alla ricerca di spiegazioni ed esperienze frequentando forum e chat. Qui ho conosciuto l’associazione e l’ho ritenuta un’esperienza positiva perché così il problema viene sentito a livello di popolazione e cittadinanza. Anche se i soci sono in prevalenza persone adulte, mi sono aggregata perché ho pensato che sentirmi parte di un tutto mi sarebbe servito e, infatti, si è rivelato un percorso vincente per la mia cura e il mio desiderio di informare gli altri. Non ero ancora venuta a capo della situazione sia in senso fisico che mentale perché il recupero è un processo lungo e inoltre non si torna a quello che si era prima perché è comunque un meccanismo che si introietta. Avevo una famiglia felice, amici, apparentemente non c’erano cause scatenanti, ma la ripresa fisica non è immediata perché insorgono problematiche che vanno monitorate. E soprattutto ci vuole qualcosa che ti spinga a voler tornare alla vita di prima, alla normalità».
Allargare l’offerta d’aiutoAlice per i DCA nasce a Padova nel 2006 per volontà di un gruppo di genitori che frequentavano lo stesso ambulatorio: «Avevamo bisogno di cure, i medici non avevano neanche l’ambulatorio e poi grazie a mozioni e mobilitazioni hanno trovato spazio in ospedale per un day hospital che funziona dal 2014 – spiega Marina Grigolon presidente dell’associazione, facendo riferimento al Centro regionale di Padova, all’interno dell’Azienda Ospedaliera – I disturbi alimentari purtroppo subiscono un forte stigma ancora oggi. Si pensa a un capriccio, non alla malattia, perché la psichiatria fa paura. Il problema fondamentalmente riguarda le ragazze perché i maschi associano al fisico la necessità di sviluppare i muscoli, e se vogliamo aiutare dobbiamo dar loro forza: è fondamentale per la prevenzione. Occorre che sviluppino uno spirito critico per difendersi dai modelli sbagliati che vengono proposti dalla società. È un problema di crescita e di maturazione, si avverte quando il corpo cambia e, infatti, ci sono donne in difficoltà quando affrontano la menopausa». Se potesse realizzare un desiderio Marina vorrebbe che il day hospital venisse ingrandito perché a causa della capienza limitata e il numero di richieste, spesso c’è “coda”: «Offre solo otto posti e l’orario finisce alle 16.30 e invece ci vorrebbero pasto e accoglienza serali e qualche posto per le gravissime. Ci vogliono degli spazi specifici dove ricoverare queste ragazze quando sono nel pieno della crisi: se venissero ricoverate in altri reparti, questi ultimi non le tratterrebbero perché sono “classificate” come utenti di psichiatria. Ci sono le case di cura, certo, ma in Veneto ce n’è solo una pubblica, ed è a Portogruaro. Se anche a Padova ci fosse una residenza sarebbe un bene enorme perché le ragazze verrebbero ricoverate vicino alla loro casa, alla scuola, agli amici. Serve un percorso protetto per aiutale». Un calvario quello che nasce dalla fame, una fame che urla “aiuto!” e spesso viene bollata come volgare desiderio di apparire e piacere senza pensare al bisogno di amore che questa fame esprime.
A Padova, il prossimo 15 marzo, l’associazione Alice per i DCA propone alle 17.45 al centro culturale San Gaetano propone “Alice e le storie imperfette”, un momento di discussione seguito dalla rassegna “La danza di Alice” e una mostra fotografica.