IdeeIn autunno il Governo adotterà i decreti attuativi di due leggi. Necessario un salto di paradigma per garantire centralità ai singoli nelle scelte di vita
Nel prossimo autunno il Governo disciplinerà i “progetti di vita individuali, personalizzati e partecipati”, in attuazione della legge n. 227/2021 in materia di disabilità e della legge n. 33 del 23 marzo 2023 sulle politiche in favore delle persone anziane. È il caso di preoccuparsi? Sono in gioco le condizioni di vita di tante persone, la preoccupazione può contribuire a migliorare la ricerca di soluzioni. Il voto dei parlamentari è stato concorde nel valorizzare i diritti delle persone con disabilità e delle persone anziane non autosufficienti. Ma questa condivisione, tra forze diverse, su una questione eticamente molto sensibile, non può bastare. Quando i “diversi” sono troppo concordi può venir meno il necessario confronto per cercare il miglior bene possibile. Le preoccupazioni riguardano i rischi di intrusione istituzionale nella vita delle persone. Storicamente le vite gestite dalle istituzioni sono state ad alto rischio di istituzionalizzazione, in particolare dei più deboli per ragioni di età, di salute, di capacità, di autonomia. In passato l’istituzionalizzazione dentro le mura degli istituti separava dalla vita di tutti. Cosa può significare oggi un progetto di vita personalizzato che non sia istituzionalizzante? Le due leggi delegano al Governo l’impegno di evitare due rischi: il rischio di impropria ingerenza legislativa nella sfera personale; le ricadute sulla spesa pubblica e privata. Spesa pubblica significa proventi della solidarietà fiscale e spesa privata significa risorse personali e familiari. Chi ha diritto di decidere su queste due fonti di risorse? La preoccupazione è che venga prefigurato il futuro delle persone all’interno di “mura progettuali”, dove la persona potrà essere in minoranza nell’esprimere le proprie volontà. La Costituzione affida allo Stato la responsabilità di determinare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m). Ma, ai sensi del medesimo art. 117 (c. 3), l’organizzazione delle risposte è affidata alle Regioni. Questa doppia responsabilità non è stata ben composta e ogni regione ha adottato proprie soluzioni, rendendo disomogeneo quello che deve essere unitario. Se il progetto di vita non sarà attuato come “livello essenziale di cittadinanza sociale”, come potranno essere garantiti equamente i diritti civili e sociali delle persone interessate? Le scelte saranno inevitabilmente legate al problema delle risorse, pubbliche e private, che congiuntamente potranno garantire il diritto a condizioni di vita dignitose e non burocratizzate. Ma tutto potrebbe ridursi a un “budget di progetto”, che non sarà gran cosa. Storicamente le soluzioni progettuali per le situazioni di disabilità sono state introdotte in ambito scolastico (L. 517/77), con la programmazione educativa, i piani personalizzati (L. 104/1992 e L. 162/1998), il diritto al lavoro, il collocamento mirato (art.11 della L. 68/99). La legge n. 328/2000 parlava di progettualità negli ambienti di vita: scuola, lavoro, famiglia, socialità. Anche le norme sul “dopo di noi” hanno fatto altrettanto. Il risultato è composto di tante prospettive progettuali, ma poco orientate alla concretezza. È la misura del nostro insufficiente grado di civiltà. È soprattutto la misura di quanto ci resta da fare, per un salto di paradigma. Saprà farlo il Governo valorizzando tutte le possibilità a disposizione? Il rischio maggiore è la neo istituzionalizzazione, che potrebbe sostituire le mura di pietra con le barriere progettuali.
Come immaginare le “commissioni che formalizzeranno i progetti di vita”? Come garantire effettiva centralità alle persone nelle scelte della loro vita? Chi sarà titolare del progetto: la persona o la “commissione che lo approva”? Come evitare il malfunzionamento dei servizi quando potranno degradare in forme dirette o indirette di “maltrattamento istituzionale”? Vanno in sostanza evitati due rischi maggiori: la scarsa attenzione alla dignità delle persone e l’insufficiente garanzia del pieno esercizio dei loro diritti civili e sociali con i familiari e gli amministratori di sostegno. Le risorse pubbliche e private a disposizione sono considerevoli, ma spesso male utilizzate. L’ipotesi è di “riconvertire i trasferimenti assistenziali in servizi”. Oggi molti trasferimenti sono garantiti dall’indennità di accompagnamento, circa 14,1 miliardi di euro a cui si aggiunge la spesa privata. Nel 2019 (pre-pandemia) era stimata in 8 miliardi di euro: 3,8 miliardi per lavoro regolare e 4,2 per lavoro irregolare (osservatorio Domina). Nelle stime della Fondazione Zancan raggiunge i 12 miliardi (regolari il 45 per cento e irregolari il 55). Ma la prima risorsa sono le persone e le loro famiglie. Solo con loro è possibile creare virtuose composizioni di capacità private e pubbliche, rispettando le scelte degli azionisti di maggioranza, le persone.
Tiziano VecchiatoPresidente Fondazione Emanuela Zancan
