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Meteo, la sregolatezza sulla pelle del Veneto
I mesi di febbraio e marzo 2024 sono stati in Veneto, nel loro insieme, i più caldi e piovosi degli ultimi trent’anni.
I mesi di febbraio e marzo 2024 sono stati in Veneto, nel loro insieme, i più caldi e piovosi degli ultimi trent’anni.
Tre gradi abbondanti oltre la media in febbraio, poco meno di tre in marzo. Lo dice Arpav, fornendo i dati dell’ultimo bimestre, che mostra svariati aspetti da primato o quasi. Le minime sono le più alte mai registrate dal 1990 e la media regionale (cioè la media fra tutte le stazioni di rilevamento gestite da Arpav) in marzo è stata di poco superiore a 5 C°, addirittura sei gradi in più rispetto alla media dell’anno più freddo, il 1996. Tuttavia in Veneto non andiamo verso una situazione tropicale, ma verso un clima sregolato e con tanti eventi estremi: «Anzi, ci siamo già dentro». Marco Rabito, meteorologo e climatologo vicentino, autore di pubblicazioni scientifiche sugli eventi meteorologici estremi sul territorio veneto, con un po’ di ironia dice di non essere pessimista: «Sono semplicemente realista». Ma proprio perciò Rabito è convinto che bisogna accelerare – sia a livello individuale che di comunità e istituzioni – per evitare i danni più gravi causati da un clima velocemente e radicalmente cambiato. Che cosa significa il record di pioggia e temperature alte registrato in Veneto in febbraio e marzo? «È uno dei segni di un’estremizzazione meteorologica che fa capo al clima che sta cambiando, alle maggiori energie in gioco. La nostra atmosfera è molto più ricca di energia rispetto a pochi anni fa e questo produce estremizzazioni. Si è parlato poco, per esempio, del tornado che il 1° aprile scorso ha colpito Carmignano e Fontaniva, nel Padovano. Una cosa che non c’entra nulla con aprile. La cellula temporalesca che ha originato il tornado ha prodotto grandine di 5,5 centimetri di diametro, una cosa nemmeno pensabile in questo periodo». In effetti marzo sembra aprile di trent’anni fa… «Dal punto di vista termico assolutamente sì. Dal punto di vista della pioggia non ci sono più regole: è saltato un equilibrio per cui le piogge erano distribuite in maniera uniforme, con mesi più o meno piovosi, ma con precipitazioni abbastanza distribuite nel corso dell’anno. E questo allarma l’agricoltura, giustamente, perché i campi ricevono quantità enormi di acqua in breve tempo e poi non ne ricevono più per un mese o due. E l’acqua scesa altrettanto in fretta la perdiamo in Adriatico. Così il cittadino comune si stupisce perché per un po’ si parla di grandi piogge e quindici giorni dopo si parla di siccità. Ma questa è la caratteristica tipica delle estremizzazioni. Se piove troppo in poco tempo e non si riesce a trattenere l’acqua caduta, nel momento in cui smette di piovere l’acqua è persa e i campi hanno sete».
Non per niente in Veneto si progettano e si realizzano opere per trattenere la pioggia: è la strada giusta? «Sì, trattenere la pioggia è demandato a opere come quelle del Piano Laghetti (l’idea è di creare cento invasi in tutto il Veneto, così da disporre di cento milioni di metri cubi di acqua per irrigare nei venti giorni più siccitosi dell’estate. Ma per crearli servono 800 milioni di euro, ndr) e altre da realizzare in giro per il territorio. Ma in passato questo compito era demandato alla neve montana che adesso non abbiamo più. Purtroppo c’è anche un fattore che predispone meno alla conservazione della risorsa idrica, ovvero una minore caduta di neve a quote in cui abbiamo un’area sufficientemente vasta per accumularla. Perché è vero che in queste settimane abbiamo avuto tanta neve a 1.700-1.800 metri; ma a 1.700-1.800 metri c’è un’area molto ridotta, e in passato l’avevamo a 1.000 metri. C’era perciò una quantità di neve ben maggiore oltre a essere una tipologia di neve differente, perché cadeva a novembre, dicembre e gennaio, e andava incontro a molteplici trasformazioni; quindi era meno aggredibile dalle temperature. Adesso, in montagna fa caldo e la neve è facilmente aggredibile perché è appena caduta, piena d’aria, perciò fonde velocemente». Però nell’ultimo anno la quantità di acqua piovuta in Veneto è aumentata del 30 per cento: non è un buon segnale? «Certo, ma se scompongo le precipitazioni nei mesi, ci si rende conto di quanto sia “schizofrenica” la caduta della pioggia: c’è il mese in cui ne cade tanta, come è successo di recente, poi magari per alcuni mesi non piove più. Tutto fa capo all’estremizzazione climatica che stiamo osservando».
C’è un modello che assomigli a ciò verso cui stiamo andando? «No, perché siamo stati abituati ad avere un clima abbastanza docile. Ce ne siamo sempre preoccupati poco perché il clima non creava grossi problema: c’era il danno, ma capitava ogni 5-10 anni; e quando capitava, la volta successiva ce ne eravamo dimenticati e avevamo assorbito il guasto precedente. Adesso a Carmignano sul Brenta dovevano ancora mettere a posto i danni della grandinata di luglio scorso ed è arrivato il tornado. E a luglio a Carmignano erano caduti chicchi di grandine di 16 centimetri, che rappresentavano il record europeo, battuto tre giorni dopo ad Azzano Decimo con chicchi di 19,2 centimetri di diametro e del peso di 900 grammi. Sono meteoriti, si fa fatica a chiamarli chicchi: mandano al creatore una persona. Ci sono stati più di cento feriti…» In questa sregolatezza la nuova regola sarà che avremo più eventi estremi? «Sì, e un aumento considerevole delle temperature: continueremo a ritoccare record di temperature sempre più alte». Da fine gennaio in pianura non si è pressoché mai vista una temperatura sottozero: anche questo dice un trend, no? «È vero, si osserva da 20-30 anni una diminuzione drastica delle giornate di gelo. Di pari passo aumentano le notti tropicali nel periodo estivo, cioè quelle con temperature minime superiori a 20 C°. Così come stanno aumentando le giornate con elevato disagio fisico, quelle con temperatura e umidità alte: siamo passati dalle 2-3 dei primi anni Novanta alle 10-12 di oggi». Ci saranno pure dei vantaggi: si spende meno in riscaldamento… «Sì, ma rischiamo di mangiarci i risparmi per i danni che gli eventi estremi producono. Risparmiamo sulla bolletta del gas e poi abbiamo migliaia di euro di danni, in dieci minuti, per la grandinata. Le grandinate fra 13 luglio e 25 luglio 2023 sono costate al Veneto 1,3 miliardi di euro: lo dice Zaia, non io». Cosa fare dal punto di vista dell’adattamento? «Anzitutto imparare a conoscere i fenomeni atmosferici, perché significa proteggersi. Perché il rischio non è solo per le strutture ma anche per le persone. Non solo per grandinate e tornado, ma anche per il rischio alluvionale che abbiamo corso in più occasioni. Molte persone andranno al mare o in montagna e saranno maggiormente esposte ai fenomeni atmosferici. Quindi è ancor più importante consultare le previsioni del tempo e su quella base valutare anche di rinviare certe attività». E al cittadino che abita in una delle nostre città che cosa consiglia? «I nostri comportamenti devono essere volti al risparmio delle risorse e a un loro uso consapevole. Penso, per esempio, al riscaldamento invernale: significa accettare di tenere una temperatura un po’ più bassa oppure, meglio ancora, investire per isolare la casa, avendo in cambio maggiore comfort, risparmio economico e azzeramento dell’inquinamento atmosferico. Lo so che c’è un moto di critica verso le norme green, però la situazione dice che o ti adegui o spenderai milionate o miliardate per scaldarti e riparare i danni».
38 stazioni di rilevamento dei dati Arpav sulle 130 totali in Veneto hanno segnato i propri record di pioggia caduta nell’ultimo bimestre. Quasi tutte si trovano sulle Prealpi vicentine, dove è caduto il triplo delle normali precipitazioni, e sulle Dolomiti: a battere tutti è la stazione di Turcati, a Recoaro Terme, che nel solo mese di marzo ha registrato la caduta di 493 millimetri di pioggia. Negli ultimi dodici mesi in Veneto, in media sono caduti circa 1.420 millimetri di pioggia, significa oltre 300 millimetri più della media annua regionale.