Idee
Cooperazione allo sviluppo. La lotta alle disuguaglianze
Per invertire la distribuzione impari delle ricchezze sono necessarie azioni davvero efficaci. Un indicatore della Commissione Europea ne valuta l’effettivo impegno
Per invertire la distribuzione impari delle ricchezze sono necessarie azioni davvero efficaci. Un indicatore della Commissione Europea ne valuta l’effettivo impegno
Aspiegare che la radice delle differenze abissali delle condizioni in cui vivono le persone sia l’eccessiva ricchezza, la quale è produttrice di povertà, ci aveva già pensato Jean Jacques Rousseau nel 1755 con il suo Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini. Dopo oltre due secoli e mezzo dall’illuminazione rousseauiana la ricchezza è aumentata e la disuguaglianza non è stata sconfitta. Su questi temi si interrogano oggi i soggetti che cercano di supportare la redistribuzione a livello globale e che hanno realizzato un momento di riflessione durante il webinar “La cooperazione allo sviluppo per contrastare povertà e disuguaglianze alla prova dei fatti”, organizzato nell’ambito del progetto Generazione cooperazione. «Nel 1700 la ricchezza economica prodotta a livello mondiale, misurata in dollari internazionali, era 726 miliardi e la popolazione globale era pari a 600 milioni, il rapporto era quasi mille a uno – spiega Marco Zupi, direttore scientifico del Centro studi di politica internazionale (CeSPI) – Nel 1820 il reddito mondiale superava i 1.000 miliardi di dollari e proprio allora la popolazione superava la soglia del miliardo di abitanti sulla Terra. In questi ultimi duecento anni la crescita della popolazione ha subito un’accelerazione, ma ancora di più il reddito mondiale è aumentato. Nel 1950 c’erano 2,5 miliardi di abitanti e oltre 10 mila miliardi di dollari e da allora c’è stata un’accelerazione pressoché costante. A fine 2022 abbiamo superato gli otto miliardi di abitanti e il reddito ha superato i 134 mila miliardi di dollari, eppure, continuano a porsi i problemi della distribuzione di questa ricchezza e delle disuguaglianze, che non sono diminuite».
Nel progetto Generazione cooperazione è coinvolta anche la Fondazione Fontana, onlus padovana che opera non solo nella città del Santo e a Trento, ma anche in Kenya, Bosnia e Israele dove supporta interventi di cooperazione allo sviluppo: «Bisogna rivolgersi al 40 per cento della popolazione che si trova in condizioni più vulnerabili. Per riuscire a fare ciò è necessaria una presenza capillare nel territorio di volontari che conoscono il contesto e le persone – illustra Pierino Martinelli, presidente di Fondazione Fontana, quando gli chiediamo come concretamente si possano orientare i progetti di cooperazione verso la riduzione delle disuguaglianze, e prosegue – Il secondo aspetto è la necessità di tenere presente che se cerchiamo di far crescere il reddito della fascia più povera della popolazione ma contemporaneamente il reddito della fascia più ricca aumenta in maniera esponenzialmente più alta, anche la disuguaglianza continua ad aumentare. Non bisogna dimenticare quindi il lavoro di advocacy, lobby e coinvolgimento delle fasce di popolazione più abbienti. Non dobbiamo pensare che necessariamente chi ha di più sia “cattivo”, bisogna coinvolgere la fascia della popolazione che ha di più per far sì che maturi una sensibilità alla redistribuzione».
Una sensibilità, quella di cui parla Martinelli, che nel corso degli ultimi decenni ha perso gran parte del suo carattere istituzionale e che, oltre al progressivo indebolimento delle politiche redistributive statali, vede oggi un rischio di deviazione anche quando si tratta specificamente degli obiettivi delle politiche pubbliche di cooperazione internazionale. Come sottolinea, infatti, Francesco Petrelli, consigliere politico in Finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia, «oggi le reti di Ong denunciano il rischio che, anche a fronte dell’elezione del nuovo Parlamento Europeo, ci possa essere un tentativo di orientare le politiche europee per la cooperazione allo sviluppo verso la soddisfazione degli interessi geopolitici ed economici di questo continente».
Nonostante o forse proprio a causa di questo rischio, risultano fondamentali gli strumenti analitici che permettono di misurare l’impegno dei progetti di cooperazione nella riduzione delle disuguaglianze. Tra questi strumenti c’è anche l’Inequality Marker, presentato durante il webinar da Christian Morabito, ricercatore senior e membro del team che ha sviluppato questo indicatore per la Commissione Europea, che lo applica dal giugno 2023. Si tratta di un metodo che permette di classificare se l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze sia prioritario, presente ma non centrale o del tutto assente nei vari progetti finanziati dall’Unione Europea. «L’Inequality Marker si concentra sui beneficiari, cercando di capire chi sono e se gli interventi si stanno dirigendo principalmente al 40 per cento della fascia di popolazione più vulnerabile. Quando ho iniziato questo lavoro anni fa mi sono reso conto che la maggior parte delle agenzie per la cooperazione allo sviluppo non hanno la più pallida idea di chi siano i loro beneficiari, questo succede in molti meno casi nei progetti delle Ong perché essi di solito sono implementati direttamente nelle zone molto svantaggiate. Il marker guida nello strutturare le linee politiche per beneficiare in larga parte chi è in condizioni più svantaggiose e quindi nel ridurre le disuguaglianze». Morabito specifica anche: «Questo è fondamentale perché a oggi effettivamente si va a livello europeo in una direzione in cui la cooperazione allo sviluppo viene intesa come supporto agli investimenti sulla base di interessi economici e geopolitici. Il marker però rimarrà e rappresenterà l’ancora più forte che abbiamo per contrastare questa tendenza».