Idee
La testimonianza da Israele. Nel kibbutz al confine con il Libano dove non si sentono più bambini
Angelica Edna Calò Livnè e il suo teatro che unisce ebrei, cristiani e musulmani
Angelica Edna Calò Livnè e il suo teatro che unisce ebrei, cristiani e musulmani
Angelica scruta dalla finestra: colpi di artiglieria squarciano il cielo azzurro sopra le colline all’orizzonte. Nemmeno in queste circostanze le sue giovialità e forza d’animo vengono intaccate. Angelica Edna Calò Livnè è nata a Roma il 27 agosto del 1955 da una famiglia ebraica e dall’età di vent’anni, si è trasferita nel kibbutz Sasa, nel nord della Galilea, al confine con il Libano. Da Sasa non si è più spostata nemmeno dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e le successive rappresaglie degli Hezbollah libanesi. Angelica, docente al Tel Hai College di Kiriat Shmone, è fondatrice con il marito Yehuda del Teatro Arcobaleno, nato 23 anni fa. La prerogativa di questa realtà è la promozione del dialogo tra ebrei, musulmani, cristiani e drusi, tutte comunità che vivono nel kibbutz Sasa e nei territori circostanti. Oggi per Angelica parlare di pace è piuttosto difficile. Lo scorso 7 aprile era con il marito al Museo ebraico di Padova per una sua testimonianza.
Cos’è cambiato per voi dopo il 7 ottobre 2023? «Sono cambiate le nostre vite. Persone a cui ero legata sono cadute sotto i colpi della barbarie. Come la pacifista israelo-canadese Vivian Silver, una grande amica. Aveva avviato la fondazione Donne per la pace ed è stata una delle prime massacrate nel kibbutz Be’eri. Sul frigorifero di casa aveva la lista delle persone che avrebbe dovuto portare da Gaza agli ospedali di Israele per essere curate. Da quel giorno siamo stati inghiottiti in un trauma collettivo che sarà difficilissimo da superare. Peggio della Shoah, perché nella Shoah eravamo in Europa, dove siamo sempre stati ospiti; qui in Israele eravamo a casa. I terroristi sono entrati nelle nostre abitazioni e l’hanno fatto nel modo più atroce possibile. Oggi assistiamo impotenti a ciò che sta avvenendo: l’incursione a Gaza con i palestinesi che soffrono e muoiono, perché usati come scudi umani da Hamas. Poi gli ostaggi nascosti chissà dove».
In quelle ore, in quei giorni, ci sono stati segni di vicinanza, di umanità? «Le famiglie dei ragazzi arabi con cui abbiamo collaborato in questi anni sono state le prime a telefonarmi il 7 ottobre. Hanno chiesto come stavamo e hanno detto chiaramente che non si identificavano con quello che Hamas aveva fatto, “è stata una cosa orribile, non sono musulmani quei terroristi”».
Com’è il kibbutz Sasa dove vivi da quando sei in Israele? «Sorge a 900 metri di altezza ai piedi del monte Meron, a 1.200 metri dal Libano. È solitamente abitato da 450 persone ma ora siamo solo in quaranta a presidiarlo. L’entrata maggiore proviene dai campi di mele, kiwi e avocado. Abbiamo una fabbrica di strumenti di difesa e una di software dove è stato inventato un potentissimo antivirus. Ora il kibbutz è silenzioso e deserto. Non si odono le amatissime voci dei bambini».
Tu sei conosciuta anche fuori Israele per il Teatro dell’Arcobaleno e per le tante iniziative di pace. Come nasce il tuo desiderio di impegnarti per far incontrare comunità diverse? «Nel 2001, dopo un viaggio in Italia con cinquanta giovani connazionali traumatizzati dal terrorismo, ho deciso di creare un teatro comunitario di ebrei e arabi: ognuno aveva paura dell’altro. Abbiamo creato degli spettacoli, tutti senza parole, con musica e danza. Non avrei mai immaginato che avrebbe preso delle dimensioni enormi, con spettacoli in tutto il mondo: sono avvenuti dei miracoli. Erano in dieci. Sono divenuti un gruppo affiatato che ormai raccoglie più di 1.500 ragazzi: ebrei, cristiani, musulmani, drusi della Galilea. Nel 2008 eravamo in sala Nervi in Vaticano e hanno recitato davanti a papa Benedetto XVI».
Qual è il tuo metodo didattico-educativo? «È di tipo pedagogico, originale, nato dalla mia esperienza personale. Ha come capisaldi l’educazione al dialogo attraverso le performing arts. Al centro ci sono il teatro, la danza e la creatività. L’obiettivo è sviluppare il pensiero umanistico, la coscienza personale, il senso di responsabilità, il rispetto per l’altro e per ogni diversità».
Lo spettacolo più conosciuto e ripetuto (da 23 anni) dal Teatro dell’Arcobaleno, è Beresheet–In principio. Qual è il messaggio? «I ragazzi raccontano danzando il bisogno profondo di pace, di chi conosce la guerra in prima persona e l’amore come unica arma contro l’odio. Esprimono l’importanza e il valore immenso della differenza come fonte di ricchezza e di crescita, non come motivo di conflitto. Beresheet è un messaggio di fiducia in un avvenire dove si può sconfiggere l’indifferenza per dare a ognuno dignità e futuro».
Cosa desideri oggi per te e le persone care? «C’è una bellissima parola ebraica, shalom, che esprime la pace come completezza, integrità. È lo stato d’animo di chi è in armonia con sé stesso e con gli uomini. Mi auguro questo. Finalmente!».