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Sanità. Liste d’attesa senza risorse
Il Parlamento, mercoledì 24 luglio, ha approvato un decreto per ridurre le attese negli ospedali, ribadendo di fatto misure già previste e soprattutto senza proporre un finanziamento adeguato
IdeeIl Parlamento, mercoledì 24 luglio, ha approvato un decreto per ridurre le attese negli ospedali, ribadendo di fatto misure già previste e soprattutto senza proporre un finanziamento adeguato
A volte si ha il sospetto che chi legifera, non conosca bene la materia di cui si occupa, i veri problemi da affrontare. Ottimisticamente, si può invece considerare che i veri problemi li conosca; ma le risorse per affrontarli… Ecco, sono i due pensieri prevalenti che emergono prepotenti nella lettura del cosiddetto decreto governativo che intende abbattere – o comunque ridurre – le liste di attesa per prestazioni mediche ospedaliere e/o esami strumentali. Quasi sempre e in qualsiasi struttura ospedaliera di un certo livello i tempi di attesa per una visita specialistica superano il paio di mesi di attesa; la realtà racconta però di situazioni ben peggiori. E cosa prevede questo novello decreto? Che si facciano esami e visite pure nei fine settimana, o dopo il classico orario di lavoro: misura vuota, è già prevista in alcune Regioni ma letteralmente non ci sono medici che si prestano a questo ulteriore carico di lavoro. Assumerne altri? E con che soldi, se anche ce ne fossero di disoccupati in giro? Allora si prevede che gli straordinari dei medici siano detassati, solo il 15 per cento d’imposta invece che l’ordinario 43 per cento. Buio come prima: manca il personale e non è questa una caramella particolarmente attraente per saltare il riposo settimanale o per finire di lavorare alle 22. Allora si prevede che ci si possa rivolgere al privato convenzionato, che poi verrà rimborsato. A parte il fatto che le strutture private non è che siano vuote di lavoro quotidiano e non abbiano anche loro tempi d’attesa (si pensi a certi macchinari per visite strumentali), ma si torna alla casella iniziale: con quali soldi? Il Governo dice alle Regioni: ve ne abbiamo dati (500 milioni di euro), spendete quelli. Soldi in realtà già spesi in buona parte, nessuna risorsa aggiuntiva. Unica novità secondo noi rilevante: chi non disdice la prestazione prenotata almeno due giorni prima della stessa, pagherà il ticket. Si libererà qualche posto e la sanità incamererà qualche euro in più. Morale della favola? Cambierà poco o niente, salvo il fatto di dire: noi ci abbiamo pensato, ecco il decreto. Quando invece si vorrà affrontare la questione sanitaria seriamente, si dovranno valutare con attenzione un paio di cose: i colossali carichi di lavoro che hanno alcune specialità, con la difficoltà sia di reperire nuovi medici specialisti che di assumerli; la valutazione dei carichi di lavoro in altri reparti, laddove la produttività è auto-decisa, auto-valutata, auto-promossa. Perché nella sanità pubblica c’è chi lavora fino allo sfinimento fisico (e sono i più) e chi (parliamo di personale medico, infermieristico, amministrativo) guarda con serenità i primi sfinirsi. E nessuno muove un dito. Ieri, oggi e – si teme – pure domani.
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha dichiarato dopo l’approvazione del decreto: «Oggi compiamo ulteriori passi avanti per garantire il diritto alla salute dei cittadini. Siamo consapevoli che c’è ancora molto da fare, ma siamo convinti che la direzione intrapresa per costruire una sanità più efficiente e più vicina ai bisogni dei cittadini sia quella giusta».