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Se i giovani non vogliono più fare i dottori. Il polo sanitario di Padova Est accelera. Ma non sappiamo chi ci lavorerà
Il polo sanitario di Padova Est accelera. Chi ci lavorerà?
IdeeIl polo sanitario di Padova Est accelera. Chi ci lavorerà?
I l progetto per il nuovo polo sanitario di Padova Est accelera e sarà pronto già nelle prime settimane del 2025. È una notizia più che buona, per la quale la maggioranza in Consiglio regionale ha ragione a festeggiare. Lo stesso presidente Zaia parla di un’operazione che «entrerà nella storia della sanità nazionale e internazionale» dal momento che il futuro nosocomio «avrà una caratteristica pressoché unica, perché fonderà in sé stesso un’altissima qualità clinica e di cura, la ricerca, un’enorme capacità di presa in carico dei pazienti con i suoi oltre 900 posti letto». Il Veneto, che ha tre aziende sanitarie nelle migliori cinque d’Italia (nell’ordine: la 8 Berica, la 6 Euganea e la 1 Dolomiti), vede quindi materializzarsi un nuovo formidabile strumento per la salute di una popolazione in cui la domanda tende ad aumentare. C’è però un rischio concreto che si nasconde dietro all’immagine sfavillante del futuro polo sanitario che farà di Padova Est un’area ancora più strategica di quanto già non sia. Quanto sarà effettivamente accogliente questa struttura? In altri termini, ci sarà il personale necessario a farlo funzionare? Saranno davvero efficaci i servizi di base che hanno sempre caratterizzato l’organizzazione territoriale della nostra sanità regionale? Senza risposte certe a queste questioni, Padova Est potrebbe anche sorgere come una cattedrale nel deserto: simbolo di enormi capacità di affrontare la patologia in fase acuta, in un contesto in cui la cura ordinaria, quotidiana, fatica a trovare espressione adeguata nei distretti e negli studi dei medici di medicina generale. Le vere emergenze nella popolazione della nostra regione sono oggi le malattie croniche e la non autosufficienza, situazioni che spesso oltre ad affliggere il paziente che le sperimenta direttamente, mettono a dura prova anche chi se ne prende cura, a partire dalla famiglia. Ci sono delle specialità che già oggi non attraggono più i giovani laureati in medicina, a partire da emergenza/urgenza, chirurgia e, come si diceva, medicina territoriale. Se nel primo caso pesano i carichi di lavoro – amplificati da organici sempre in deficit – e i sempre più frequenti casi di violenza, nel secondo caso incide la difficoltà di operare senza incorrere in denunce e querele, con conseguente rialzo dei premi assicurativi. Per quanto riguarda la medicina territoriale (e quindi i medici di famiglia) la burocratizzazione della professione, le sirene che provengono dai Paesi europei pronti a offrire stipendi più alti e, in generale, la perdita di prestigio della figura del medico “di base” costituiscono un micidiale combinato disposto. Risultato: lo scorso ottobre, in sede di concorso per entrare nella scuola di specializzazione, sono andati deserti ben cento posti. Più che la carenza attuale di personale, è proprio questa scarsa attrattiva delle professioni sanitarie a preoccupare. In questo modo, infatti, diventa complesso programmare un certo numero di borse di studio per riequilibrare il rapporto tra medici e popolazione. Siamo al punto che lo stanziamento di risorse non basta più. Sono semmai le condizioni di lavoro il vero banco di prova oggi. In sanità – ma non solo – i giovani oggi dimostrano di non essere disponibili a sopportare alta pressione, lunghe ore di lavoro, turni notturni, pertanto la migrazione avviene certamente per profitti maggiori, ma anche per la possibilità di svolgere i propri compiti con più dedizione e soddisfazione. Il lavoro, per la generazione Z, non è il fattore caratterizzante la vita, sul quale modulare tutto il resto. È semplicemente uno tra i tanti elementi che compongono il puzzle esistenziale. Potremmo limitarci a giudicare questa tendenza, ma è di certo più utile esplorarla e comprendere se non possa portare benefici per tutti. Nel frattempo teniamo le antenne alzate sulla nostra sanità, il nostro futuro passa dal suo stato di salute.