Idee
Economia non vuol dire schiavitù. La riedizione di “L’economia la felicità e gli altri” di Luigino Bruni
La sola materia non offre la felicità, quella felicità che invece può provenire dal dialogo gratuito con l’altro
IdeeLa sola materia non offre la felicità, quella felicità che invece può provenire dal dialogo gratuito con l’altro
“Se lo scopo ultimo delle forze politiche in un paese è soltanto raggiungere il massimo dei consumi e il massimo della produzione senza mai interrogarsi sull’effetto che avranno questi risultati sui rapporti interpersonali, il risveglio rischia di essere brutale”.
Il pericoloso nonsenso della guerra dei dazi potrebbe essere riassunto da queste parole del filosofo Tzvetan Todorov riportate nel libro dell’economista (insegna Economia politica alla Lumsa di Roma) Luigino Bruni “L’economia la felicità e gli altri. Un’indagine su beni e benessere” (Città Nuova, 248 pagine, euro 18,90.). L’autore (la prima edizione di questo libro è del 2004, ma sembra scritto in questi giorni) mette in guardia contro una accezione puramente economicistica delle teorie economiche, semplicemente e giustamente perché c’è di mezzo l’uomo, e per di più un uomo che interagisce necessariamente con gli altri, la natura, il pianeta.
Una lunga ricostruzione delle interpretazioni di cosa significhi economia nel corso della storia permette al lettore non addetto ai lavori di comprendere come l’utilitarismo, il calcolo, l’immediatamente materiale abbiano preso un rilevante posto nella visione del mondo non più esclusivamente economica, ma più latamente politica e sociale, con la stagione protestante a comporre uno dei numerosi punti di discrimine, in questo caso l’economia interpretata come ricerca della felicità individuale e come prova dell’approvazione divina.
Ma la felicità non è questa, e centinaia di anni non sono serviti a dimostrarlo, visto che in questi giorni l’economia, il guadagno, anche e soprattutto a spese degli altri, sono ritornati a rappresentare i totem di una nuova stagione di materialismo brutale.
Bruni ripercorre un lungo cammino iniziato con il pensiero di Socrate, Platone e Aristotele nel quale si evidenzia che la pura materialità, il calcolo brutale non hanno risolto i nodi del rapporto tra felicità individuale e collettiva, economia, progresso, apparente raggiungimento di alcuni beni o obiettivi.
La felicità non è questa, sembrano suggerire le pagine di questo libro, perché esiste altro, e questo altro non appartiene all’universo della contabilità e della economizzazione di ogni cosa. La sola materia non offre la felicità, quella felicità che invece può provenire dal dialogo gratuito con l’altro, e da quell’economia di comunione di cui si parla, anche se solo di passaggio, anche qui.
La felicità non è solo la mia, anzi, non può essere la mia se non è anche quella dell’altro, al di là delle logiche di benessere materiale: un benessere che se fine a se stesso può significare paradossalmente un malessere fatto di solitudine, tedio, insensatezza. Come scrive l’economista americano Easterlin, giustamente riportato qui, “La crescita del reddito non causa un aumento di benessere, e ciò è vero sia per alti che per bassi livelli di reddito”.
Il bene degli altri, un bene fatto certamente di cibo e di un tetto per la sopravvivenza, ma anche di condivisione, di ascolto, di “eccomi io ci sono” è l’elemento fondamentale che emerge da un libro in cui giustamente l’economia non è più disegnata come una scienza matematicamente perfetta e isolata da ogni altra dimensione umana, ma parte di un tutto.
Il che significa sguardo verso l’altro che non ha di che vivere o che è in difficoltà e fine del mito dei soldi come benedizione divina, se quei soldi diventano ossessione e incubo che paradossalmente inabissa il livello di vita rendendoci schiavi e non più creature dotate di libero arbitrio.