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La montagna di “prossimità” chiede più attenzione
Montagna: per i veneti significa Dolomiti, ma non solo. C’è tutta la fascia che va dai monti Lessini al Cansiglio e che si affaccia sulla pianura.
Montagna: per i veneti significa Dolomiti, ma non solo. C’è tutta la fascia che va dai monti Lessini al Cansiglio e che si affaccia sulla pianura.
Tra questi monti troviamo l’altopiano di Asiago, il massiccio del Grappa, il monte Cesen; a volte sono note località turistiche, altre volte sono agevoli mete di turismo “fuori porta”, ancora più ambite dopo la pandemia.
«È vero, la gente si sposta verso il verde e minori assembramenti: la montagna offre l’idea di spazi liberi e aria pulita, lo si è visto già la scorsa estate con il turismo di prossimità», rileva Fabio Curto, gestore di malga Mariech a Pianezze, sul monte Cesen, presidente della Sezione Latte di Confagricoltura Veneto e proprietario con la famiglia di un’allevamento a Valdobbiadene. A lui chiediamo in che termini si può oggi parlare di agricoltura nei “suoi” luoghi.
«Sostanzialmente si deve parlare – spiega Curto – delle attività che proprio in questi giorni stanno ripopolando le malghe e i pascoli: zootecnia e produzione casearia. A questo si collega l’altro aspetto, oggi quasi preponderante, dell’ospitalità turistica. Nel caso dell’allevamento, con le difficoltà legate al basso prezzo del latte e ai costi di gestione delle attività montane, l’attenzione oggi si sta spostando molto verso accoglienza e vendita diretta».
Non c’è rischio che l’agricoltura alla fine scompaia?
«Non vedo questo rischio, perché la ricettività è il frutto di una sinergia con l’attività agricola. Certo, c’è il rischio che qualcuno speculi e usi il pascolo solo per aumentare le proprie quote di superficie agricola: sta agli enti pubblici, che spesso sono anche i proprietari delle malghe – la Mariech è di Veneto Agricoltura – vigilare magari privilegiando agricoltori del territorio e che chiudano l’intera filiera stalla-caseificio. Forse nel presente ci guadagneranno meno, ma sul lungo periodo ripaga di più».
Perché i giovani dovrebbero investire in questi luoghi?
«Perché in montagna l’agricoltura richiede impegno e professionalità non sempre ripagate dal prezzo dei prodotti, si veda l’esempio del latte, è vero, ma con ingegno e passione, grazie a trasformazione e vendita diretta, ricettività, fattorie didattiche, attività sportive tipo quella equestre o le mountain bike, si possono fare rivivere in chiave nuova le attività dei propri genitori. E avere soddisfazioni economiche che si aggiungano a quelle dello stare all’aria aperta e fare prodotti sani… D’altra parte, le malghe non sono più quelle di una volta. Private o di proprietà pubblica, molte sono state ristrutturate con approccio moderno e rese più fruibili: qui sul Cesen ma anche sull’altipiano di Asiago e, in parte, sul Grappa».
Stiamo parlando solo di latte?
«No, anche delle colture: sono un valore aggiunto, si pensi ai fagioli di Lamon e alle patate di Rotzo. Ma vanno comunicate bene al consumatore, che ne capisca anche il valore e il giusto prezzo. Il Covid ha fatto comprendere l’importanza di avere prodotti di qualità».
Cosa vi manca allora?
«Noi ci occupiamo di tenere i pascoli curati e l’avanzare del bosco sotto controllo, e di dare un servizio ai turisti. Ci scontriamo con situazioni difficili: spesso alle malghe non arrivano la corrente e acqua potabile, né le linee telefoniche. L’altro problema oggi è la convivenza con la fauna selvatica: ai turisti piace, ma per noi è anche un ulteriore aggravio di costi. Credo che convenga a tutti quanti porci nelle condizioni di poter sopravvivere».
Nel Veneto, secondo i dati della Regione, vi sono circa 700 malghe, metà delle quali di proprietà pubblica: due su cinque sono in territorio vicentino, le altre a Belluno, Verona e Treviso. Il Psr del Veneto ha stanziato quest’anno 600 milioni di euro per il recupero di edifici rurali e storici: contributi di cui possono beneficiare anche le malghe