MosaicoProspettive. Agricoltura conservativa e rigenerativa, proteine da fonti vegetali, riutilizzo degli scarti e varie altre innovazioni sono state al centro di un convegno promosso da Confagricoltura Veneto
A cercarle, si scopre che il mondo è pieno anche di buone notizie, e l’agricoltura non è da meno. Ad esempio, in termini di sostenibilità: crescono i vigneti biologici, il latte bio, i consumi bio. Ma poi vi è anche la scienza, che propone di continuo scoperte e novità, alcune delle quali tra qualche anno saranno probabilmente cosa che non sorprenderà più. Di alcune si è parlato al convegno “Agricoltura al centro per un futuro sostenibile” tenutosi l’11 ottobre all’ex idrovora Ca Vendramin e promosso da Confagricoltura Veneto e Rovigo, dove sono state presentate buone pratiche e start up innovative. Due le parole d’ordine: agricoltura conservativa e rigenerativa, e proteine da fonti vegetali. Un’altra strada è quella del riutilizzo dei residui di processo per realizzare prodotti da destinare principalmente al food, cioè all’alimentazione umana, ma anche animale. Sono tutti processi che si situano nella prospettiva dell’Agenda 2030 dell’Unione Europea, che prevede tra l’altro la rigenerazione sostenibile dei territori, la transizione energetica e la promozione dell’economia circolare. L’agricoltura “rigenerativa”, ovvero opposta a quella “intensiva”, è quella che cerca il minor impatto ambientale possibile e nello stesso tempo di rigenerare la fertilità del terreno. Si promuove il minimo disturbo del suolo, ovvero meno passaggi di mezzi agricoli in campo, rotazioni colturali e colture di copertura tra un raccolto e l’altro (cover crops) con sfruttamento del residuo colturale. La sostenibilità dell’alimentazione del futuro passa però anche per la produzione e l’impiego di proteine alternative di origine vegetale, ad esempio da soia, piselli, semi oleosi, erba medica, germe di mais e altre piante, che possono garantire cibo con un alto contenuto proteico e un processo produttivo ecologico, sostenibile e in cui i fattori denaturanti siano i minori possibile. Al convegno è stato presentato l’esempio di HiWeiss, una start-up nata nel 2018 a Bolzano che ha brevettato un processo tecnologico e circolare per la produzione di proteine vegetali pulite, ovvero che non prevede l’uso di agenti chimici durante l’estrazione del concentrato proteico, da soia, mais, piselli e grano saraceno che nascono da agricoltura conservativa e rigenerativa. «Non c’è aratura – spiegano i soci fondatori – e i terreni non restano esposti agli agenti atmosferici poiché, dopo ogni raccolto di cereali, seminiamo colture di copertura sulle quali ripiantiamo mais, soia e grano. L’utilizzo di queste tecniche favorisce il mantenimento e l’aumento di sostanza organica nel suolo. E riusciamo a fissare il carbonio, catturandolo dall’atmosfera e combattendo il cambiamento cllimatico». Nulla si butta: i co-prodotti vanno ad alimentare l’impianto di biogas, le altre componenti non utilizzate vengono impiegate in prodotti a uso cosmetico e farmaceutico, o in ammendanti (fertilizzanti) e concimi bio. Agricoltura “rigenerativa” è anche quella di cui si occupa un’altra start-up, la milanese Parapini Agriculture, che unendo agricoltura di precisione, mappatura satellitare dei terreni, sensori nei campi, centraline idriche, mezzi agricoli di ultima generazione collegati a un software centrale, con l’adozione delle tecniche della minima lavorazione e delle cover crops, è riuscita a mantenere una buona produzione di qualità anche in un anno siccitoso come questo. «Il termine sostenibilità, oggi – spiega Anna Trettenero, presidente di Confagricoltura Vicenza – a parole è fin troppo abusato, declinarlo anche nella pratica significa, ad esempio, costruire una filiera vegetale che miri a ottenere prodotti con caratteristiche qualitative e nutrizionali molto elevate con processi altamente tecnologici e ottimali per i terreni. Con l’agricoltura rigenerativa, che garantisce un minor impatto ambientale e rigenera la fertilità del terreno, possiamo catturare il carbonio nel suolo, ottenendo crediti misurati e certificati che potranno essere vantati sul prodotto finito. Un sistema virtuoso, che può aprire interessanti orizzonti per il futuro dell’agricoltura, accrescere il valore delle filiere, garantire cibo di alta qualità e valore nutrizionale».
Una seconda vita dagli scarti dell’olio di oliva? Si può fare, secondo la società agricola bellunese Moldoi di Sospirolo, che ha avviato un progetto che vede coinvolta anche l’Università di Padova e vari produttori. Gli scarti dell’olio d’oliva solo in Italia sono calcolati in 232 mila tonnellate, hanno un rilevante impatto ambientale e un costo di smaltimento notevole per le aziende. L’idea di Oli.va.re (Olive Valorizzazione e Recupero) – questo il nome del progetto – è quella di utilizzare ramaglie da potatura, foglie, polpa, buccia, sanse, nocciolino e acque di vegetazione per l’estrazione dei principi attivi di interesse salutistico, cosmetico e farmaceutico, per la produzione di cosmetici e integratori ma anche mangimi per l’alimentazione animale. A coordinare il progetto, finanziato con 251 mila euro dalla Regione attraverso i fondi europei per l’innovazione Porfesr, è la Rete Innosap, che si occupa di ricerca e innovazione e conta 107 aderenti tra micro, piccole, medie e grandi imprese, istituzioni e centri di ricerca. «L’idea – racconta Nicola De Zordi, titolaredella società agricola Moldoi, che opera all’interno del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi per valorizzare le piante del territorio in prodotti salutistici e integratori alimentari – è partita da Stefano Dall’Acqua, che dirige il Laboratorio dei prodotti naturali del Dipartimento di scienze del farmaco dell’Università di Padova. La nostra azienda, in collaborazione con le università, andrà a realizzare i prototipi di prodotto. Utilizzeremo tecniche totalmente green, come l’estrazione con fluidi supercritici, metodologia innovativa in grado di estrarre selettivamente la parte più pura e aromatica delle piante senza l’utilizzo di solventi». Il progetto, appena partito e che si concluderà nel 2024, prevede la lavorazione di 10 mila quintali di scarti. «Si tratta di materiali molto interessanti – chiarisce De Zordi – in quanto contengono principi attivi specifici ad esempio per l’abbassamento del colesterolo e della pressione, ma anche proprietà antiossidanti e antinfiammatorie che permettono di sviluppare prodotti innovativi, sani ed efficaci, che vanno incontro a un mercato sempre più attento all’ambiente e alla biodiversità». Al progetto aderisce la padovana VenetoOvini di Anguillara Veneta, che dagli scarti punta a ottenere mangimi animali di qualità e a basso costo. «Il progetto – spiega Davide Morandi, che con i fratelli Luca e Andrea conduce l’allevamento di circa mille ovini, con produzione di carne e salumi di pecora – è interessante: in un momento in cui le materie prime per l’alimentazione sono alle stelle, la sansa rappresenta un ottimo integratore e aiuta a ridurre i costi. Speriamo comporti anche un miglioramento delle carni».
