Mosaico
C’è un rischio doccia fredda nel 2023 per il vino italiano?
La questione “irlandese” interviene in un momento storico in cui il vino italiano, al contrario di quello veneto, sembra tirare una battuta di arresto.
La questione “irlandese” interviene in un momento storico in cui il vino italiano, al contrario di quello veneto, sembra tirare una battuta di arresto.
Lo certifica l’Osservatorio promosso dall’Unione italiana vini e da Vinitaly, la più importante fiera italiana del vino e dei distillati che si terrà a Verona dal 2 al 5 aprile. «Voci di costo lievitate e vendite in flessione, crollo della redditività, ansia da recessione. Per il vino italiano, reduce da anni di crescita importante sui mercati mondiali, il grande freddo è già arrivato», certifica una recente indagine dell’Osservatorio. Secondo lo studio, il surplus di costi registrato quest’anno dalle imprese italiane è pari a 1,5 miliardi, l’83 per cento in più, derivanti dai soli aumenti dei prezzi energetici e delle materie prime secche, come tappi, vetro e carta. Ma la doccia fredda è attesa per il 2023, con una diminuzione significativa del margine operativo lordo. In questo scenario, anche il previsto aumento di valore – ma meno in quantità – dell’export e dei prezzi medi delle vendite non basterebbe a coprire la crescita dei costi di produzione. «Non solo in Italia ma anche in altri Paesi produttori riscontriamo difficoltà. C’è un periodo di assestamento post-Covid, aggravato dal conflitto, che non aiuta. L’occasione ci deve indurre a fare squadra ed essere uniti», ha rilevato il padovano Giordano Emo Capodilista, vicepresidente di Confagricoltura.