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Teatro Stabile del Veneto. Il sipario è di nuovo alzato. Il “sogno” si chiama Fondazione
Il bilancio del Teatro Stabile del Veneto sfiora gli 11 milioni di euro
MosaicoIl bilancio del Teatro Stabile del Veneto sfiora gli 11 milioni di euro
Tornato “nazionale” meno di un anno fa, il Teatro Stabile del Veneto si prepara a chiudere il bilancio post-pandemia con quasi 11 milioni di euro di valore della produzione, 82 mila spettatori paganti per oltre 400 alzate di sipario, con la scelta di dotarsi di un nuovo assetto. Al vertice del Tsv per l’ultimo anno di mandato Giampiero Beltotto, 68 anni, prodotto del liceo milanese dove insegnava don Giussani, giornalista televisivo svezzato da Enzo Biagi, autore di libri e saggi. Vulcanico affabulatore che magari sembra antipatico, incarna il ruolo di presidente sotto i riflettori senza dribblare copioni scomodi. Giorgio Ferrara si è appena dimesso dopo due anni da direttore artistico “per motivi personali” e si vocifera una sostituzione con l’attore Alessandro Preziosi o con Carlo Mangolini, per altro appena confermato dal Comune di Verona… «Né l’uno né l’altro. Non siamo ai tempi di Giorgio Strehler, uomo solo al comando. La nomina spetta al Consiglio di amministrazione che si è già dato linee-guida: comportano una direzione artistica corale all’altezza delle sfide. Per dirne una: abbiamo il 10-12 per cento dei residenti nati in un altro continente, con un’altra lingua e una religione diversa. Vogliamo davvero un teatro che li ignori?».
Dunque, il teatro è davvero ripartito?
«Decisamente sì, per ciò che riguarda il Teatro Stabile del Veneto. E non era affatto scontato. C’è stata una risposta del pubblico importante. Ora la responsabilità è di non lasciarla cadere: se facciamo un lavoro sciatto o non realizziamo la coralità, non operiamo con la profondità che esige la più importante struttura culturale del Veneto. Siamo un soggetto privilegiato, non una casta. E soprattutto non dobbiamo tradire il popolo: siamo al servizio del pubblico, cioè di cittadini che sono consumatori ed elettori».
Contabilità, rapporto con il personale, “salto” in Europa. Qual è la strategia?
«Quando sono arrivato al Tsv il valore della produzione era di 7,5 milioni di euro. L’ultimo bilancio è quasi 11 milioni di euro. È lo sforzo di radicamento nel territorio, ma anche il dato sugli incassi dei biglietti e il coinvolgimento vero delle associazione economiche. Poi c’è il personale che “guida” i nostri teatri. Mi pare che non si siano registrati scioperi e che tutti i lavoratori sentano la loro responsabilità. Grazie a Claudia Marcolin, executive manager, si è approdati alla definitiva idea di azienda culturale pubblica. Un bilancio in ordine significa equilibrare il contributo pubblico con i privati; investire nel teatro non dà soldi, ma permette di sentirsi parte di una comunità. E abbiamo cominciato anche un’attività di internazionalizzazione che farà bene all’economia: la domiciliazione del Tsv a Bruxelles è importante perché le leggi si fanno lì, i fondi arrivano da lì. Milano c’è, anche con Venezia…».
Il cartellone passato e futuro a cosa si ispira?
«Abbiamo voluto “Ezra in gabbia”, lo spettacolo su Pound con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini. Un successo che si replica anche nel sito della Rai. E quando l’Università Bicocca di Milano ha censurato Paolo Nori (nel marzo 2022, nel pieno del primo mese della guerra in Ucraina, avrebbe dovuto tenere un corso su Dostoevskij, ndr) lo abbiamo subito invitato: Verdi esaurito, anche quando è ritornato recentemente. La nuova stagione sarà presentata a giugno. Non mancheranno sorprese che stiamo perfezionando».
Il Teatro Maddalene rappresenta una novità gestionale. Come funziona l’accordo con il Comune di Padova?
«Il Tsv ha in gestione una parte del calendario. Siamo vincolati dal Comune a utilizzare il Teatro Maddalene per mettere a disposizione di Padova sensibilità diverse e sperimentali. E lo abbiamo tradotto in pratica. Esattamente come a Venezia per i 400 anni di Goldoni: un bando aperto alle compagnie del territorio con 70 progetti valutati da una commissione esterna per scegliere i venti destinati alla scena. Del resto, è un momento in cui tutto il teatro del Veneto deve puntare in alto. E grazie ai sindaci Brugnaro, Giordani e Conte possiamo contare su tre delle sale più belle, accoglienti e moderne d’Italia. Non si tratta di estetica, perché la rifondazione del Verdi non si esaurisce con le poltrone nuove. Il pubblico deve sapere che abbiamo cura della res publica».
L’ambizione per completare il mandato da presidente?
«Trasformare il Tsv in fondazione. Siamo ancora in una fase tecnica delicata, per rispetto dei tempi e della sensibilità dei soci. Servono i passaggi nei Comuni di Venezia, Padova e Treviso, come pure in Regione e nelle Camere di commercio e con Confindustria Veneto Est. Ma conto che tutti concordino che sia il passaggio giusto».
Dopo la valutazione della Commissione consultiva per il Teatro, con un punteggio di 88,50 lo Stabile del Veneto si qualifica al secondo posto dei migliori teatri italiani.