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Fauna selvatica, non ci sono solo l’orso e il lupo
Le modificazioni degli ambienti naturali hanno fatto scomparire numerose specie autoctone. Oggi sono tornati i grandi animali
Le modificazioni degli ambienti naturali hanno fatto scomparire numerose specie autoctone. Oggi sono tornati i grandi animali
La vicenda della morte di un uomo causata da un orso, in Trentino, ha riportato al centro dell’attenzione la questione della fauna selvatica e della sua coesistenza con l’uomo. Senza entrare nel merito del fatto specifico, l’Argav-Associazione giornalisti agroambientali del Veneto e Trentino Alto Adige, in collaborazione con Wigwam, ha voluto fare il punto per il Veneto con l’aiuto di due esperti di Veneto Agricoltura. Quello che è emerso è un quadro solo a tratti preoccupante, dove a doversi preoccupare sono però più gli animali che l’uomo. Per prima cosa, c’è da notare che per “fauna selvatica”, termine scientificamente improprio perché la coesistenza con l’uomo è antichissima, non si devono intendere solo gli animali predatori e di grande stazza come orso e lupo. «Le modificazioni degli ambienti naturali della pianura veneta – ha rilevato il tecnico faunista Jacopo Richard – hanno avuto effetti soprattutto sulla piccola fauna, che è essenzialmente una vittima delle trasformazioni». Rospi, ramarri, rettili di varia specie, in pianura non trovano più habitat e microhabitat umidi in cui vivere. Passando ai grandi vertebrati, si è assistito a una crescita, inattesa per dimensioni, di molte specie dopo che, nella prima metà del Novecento, erano scomparse o quasi. Tra le cause vi è il ritorno di alcuni habitat, come il rimboschimento di aree ex agricole, che hanno richiamato la fauna “superiore”. Parliamo in primo luogo di ungulati, come il cervo: «È la specie più emblematica – rivela il faunista Michele Bottazzo – da 8.500 capi stimati negli anni Settanta oggi siamo attorno ai 100 mila. Si trova praticamente ovunque e si adatta a ogni habitat, anche in pianura. Vive in gruppi numerosi e anche per questo diventa un problema». Capriolo, camoscio e stambecco, che pure sono in crescita, sono decisamente meno impattanti oltre che di dimensioni inferiori; più problematici i daini che però sono in numero molto ridotto. Capitolo a parte meritano i cinghiali, reintrodotti a partire da alcuni allevamenti: si riproducono anche due volte l’anno, per nutrirsi arano il terreno e così impoveriscono i pascoli creando rischi idrogeologici, e facendo danni alle coltivazioni. Non è una specie cacciabile, ma sottoposta a controllo per contenerla. Tra i grandi predatori, l’orso nel Veneto capita solo di passaggio, mentre è stabile nel Trentino occidentale. Prospera invece il lupo, ricomparso nel veronese nel 2012 e ora presente quasi ovunque. Ma non c’è da averne paura. «È un grande regolatore ecologico, ha aiutato a contenere il numero di cervi in Cansiglio e contrasta la crescita delle nutrie in pianura», fa notare Bottazzo. Ma ci sono problemi per l’uomo? «No fino a che l’animale rimane selvatico; nel momento in cui comincia a familiarizzare con l’uomo, qualcuno magari gli dà da mangiare, lui non ha più paura e si avvicina alle case, allora può scattare l’incidente».
La grande pianura veneta invasa dalle paludi è solo un ricordo, le bonifiche hanno reso rari gli ambienti umidi, le strade e il cemento fungono da barriere per molte piccole specie, i meandri dei fiumi e gli acquitrini sono scomparsi, e con essi molte specie che vi abitavano. Rane, rettili e anfibi sopravvivono spesso solo in piccole riserve protette: oggi nella pianura padana si contano 11 specie di anfibi e 14 di rettili, ma il rospo comune sta scomparendo, così come il ramarro e l’orbettino, un tempo così diffusi nelle campagne. La vipera resiste quasi solo in montagna, quella di pianura e dei litorali è rara. «Eppure alcune di queste sono specie “ombrello” – spiega Jacopo Richard – ovvero proteggendo loro arricchiamo il territorio di habitat e microhabitat. La gestione di questi piccoli animali non si fa sulla specie, come si può fare per i grandi vertebrati, ma sulla gestione e protezione degli habitat che le ospitano». Le specie di pianura autoctone oggi sono rimaste poche e con popolazioni di poca consistenza. Ancora più impattante per loro è stata l’introduzione, anche questa quasi sempre dovuta all’attività diretta o indiretta dell’uomo, delle specie esotiche. La più devastante in assoluto è la presenza del gambero della Louisiana o “gambero killer” (Procambarus clarkii), che ha impoverito la fauna dei corsi d’acqua (si ciba di uova di pesci e di anfibi). Una vittima per tutte sono i già pochi esemplari rimasti di tritoni. A non scherzare come impatto sono pure le testuggini palustri esotiche, in primis la testuggine dalle orecchie rosse (Trachemys scripta elegans), ormai diffusa ovunque, portatrice di patologie e grande competitor delle specie autoctone, oggetto del progetto europeo “Life” per il suo contenimento numerico.