MosaicoNon solo sci e turismo. Secondo il docente Danilo Gasparini dell’Università di Padova, il rilancio dell’economia agricola alpina passa per il recupero delle malghe, fulcro possibile di numerose attività
Esiste ancora un’agricoltura di montagna? «Ni, e per certi aspetti anche più no», afferma uno che del settore se ne intende, Danilo Gasparini, docente di Storia dell’agricoltura e Storia dell’alimentazione all’Università di Padova e fondatore di Alteimprese, scuola internazionale dei formaggi di montagna. Perché questo giudizio poco lusinghiero? «Perché quella di montagna per secoli è stata un’agricoltura di sussistenza, che aveva i suoi elementi fondamentali nell’allevamento e nel pascolo, che ne erano i due punti cardine. Poi c’era il bosco, altra grande risorsa, senza tralasciare una diffusa industria mineraria oggi scomparsa, da valle Imperina alle miniere di Arsiero. Delle centinaia di malghe, nel Veneto il 90 per cento sono state abbandonate come pure tutta la filiera che vedeva, dai Lessini passando per Asiago fino al Col Visentin, la presenza costante di mandrie e greggi». Vi sono però produzioni locali, anche a marchio europeo… «Di questa parte del settore agricolo è rimasto poco, se si escludono vallate come la Valbelluna o la patata di Rotzo, è vero, ma siamo a livello di nicchie di produzione, non sufficienti per fare impresa. È rimasta forte la presenza di stalle e allevamenti, che hanno una tradizione importante nel fenomeno delle latterie sociali, che soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento hanno reso redditizia questa attività, da Busche a Soligo al Trentino, dove ancora si riesce in qualche modo con forme cooperativistiche a garantire un reddito con queste risorsa importante. Oggi il vero reddito, per la montagna, non è l’agricoltura ma il turismo, lo sci». Perché allora avete creato una scuola sui formaggi di montagna? «Perché quello che abbiamo constatato, e da cui è venuta la nostra idea, è che è sempre più difficile il ricambio generazionale nelle malghe ancora attive. Quando porto gli studenti in malga ricevo di continuo messaggi da operatori che non hanno personale e che si pongono il fatidico dilemma: “Dopo di noi cosa sarà?” I figli, salvo rari casi, prendono vie meno impegnative e più sicure». La vita in malga è dura… «Io portavo gli studenti del mio corso per fare loro vedere cosa c’è oltre alla retorica di “Heidi”: ci si presentava alle 6, ma la vita in malga spesso inizia alle 4, l’alpeggio impegna cinque mesi l’anno ma è totale, dall’alba al tramonto. Oggi richiede competenze complesse, dalla gestione della mandria al saper fare il formaggio. La prova dell’abbandono degli alpeggi è il degrado del paesaggio alpino: una delle loro funzioni era prevenire l’avanzata del bosco, la cura anche idrogeologica dei pascoli. Il venire meno di una biodiversità straordinaria la si ritrova nel formaggio di malga, dove la flora alpina incide sul gusto e lo rende diverso se fatto a giugno o ad agosto. Un altro dei nostri obiettivi è salvaguardare le razze bovine come la Grigia alpina e la Burlina, oltre alla Bruna alpina». C’è però chi sulle malghe lucra, magari senza nemmeno avere una stalla? «C’è il lato oscuro della faccenda, certo: è noto lo scandalo di grandi stalle della pianura che per poter avere un tot di capi acquistavano centinaia di ettari di pascolo per avere sulla carta una superficie tale da permettere lo smaltimento dei liquami, che però erano smaltiti in pianura. Altro fenomeno è quello di malghe riattate per farne un agriturismo, anche senza avere le bestie. Un problema reale per i nuovi imprenditori malgari è invece dove portare le mandrie a svernare: c’è chi si è attrezzato e vive in malga tutto l’anno. Alcuni nostri corsisti, invece, hanno risolto affittando una stalla in forma associata». La malga oggi offre reali possibilità? «Se in molti frequentano il nostro master, anche solo per prepararsi un piano B nella vita, forse sì. Abbiamo avuto un giocatore di rugby di Serie A che si è preparato il dopo carriera sportiva, ma anche imprenditori, come due fratelli con un’industria bene avviata, e poi ragazzi venuti dalla Puglia, persino una psicoterapeuta. A parte questi casi, a noi preme fare capire a chi pensa di poter scegliere questa strada come un’alternativa alla loro vita che, al di là della poesia, il malgaro e il casaro non sono solo professioni contadine, è un’altra agricoltura rispetto a quella di una volta». Un esempio? «Saper fare il malgaro significa avere consapevolezza di non essere lì solo per fare burro e formaggio, c’è un ventaglio di possibilità. La malga oggi è diventata luogo di educazione ambientale, di enoturismo, di passeggiate e l’alpeggio può essere davvero un’impresa che fa utili attraverso accoglienza, ristorazione, vendita di prodotti come le marmellate con i frutti di bosco».
È arrivata alla sua quarta edizione la Scuola internazionale del formaggio di montagna promossa da Alteimprese. Info sul sito: www.alteimprese.it
A credere nell’agricoltura di montagna è la fiera di Longarone. Tra le varie manifestazioni che organizza e che interessano il mondo alpino, dalla celebre fiera del gelato all’appuntamento autunnale con Arredamont, che si occupa di arredamento, spicca a marzo Agrimont, la Fiera nazionale dell’agricoltura e zootecnia di montagna, attività forestali, giardinaggio e prodotti tipici. Giunta quest’anno alla 44ª edizione, si svolge in due fine settimana consecutivi, a partire dal prossimo 16 e 17 marzo per finire il 22-23-24 marzo. Ad Agrimont si affiancano quest’anno, negli stessi spazi, la Fiera & Festival delle foreste, quinta edizione, e Boster Nordest. Il primo è una mostra-convegno con un ricco programma di eventi culturali (convegni, workshop, laboratori, corsi) indirizzati al mondo istituzionale, associativo, della formazione e della ricerca, e agli aspetti più innovativi del settore. Dopo la tempesta Vaia che ha lasciato aperta la sfida del ripristino del bosco e della messa in sicurezza del territorio, e ha posto davanti all’urgente necessità di studiare e approfondire il tema dei cambiamenti climatici, sempre più evidenti anche nel nostro territorio, la Fiera & Festival delle foreste è divenuto un luogo di approfondimento e confronto con i protagonisti pubblici e privati interessati alle problematiche della sostenibilità. Boster Nordest si occupa invece della meccanizzazione forestale e presenta dimostrazioni dinamiche, prodotti e servizi per le filiere del legno, e si rivolge sia a professionisti e imprese artigiane quanto agli hobbisti: di interesse è la possibilità di vedere in funzione macchine e attrezzature. Con la sua quarantennale esperienza, Agrimont è quindi oggi una completa mostra dell’agricoltura di montagna e si è affermata sia in termini di visitatori sia per numero di espositori specializzati. Oltre ai grandi marchi per l’agricoltura professionale, però, sempre più spazio viene dato alle aziende legate al settore del giardinaggio e a quello del florovivaismo, con prodotti e piccole attrezzature da utilizzare nella cura dell’orto e del giardino di casa. Presente è anche il comparto zootecnico, settore strategico per l’agricoltura di montagna. Completano la rassegna gli stand delle produzioni agro-alimentari tipiche dell’agricoltura di montagna, come formaggi, miele e insaccati. Quest’anno Agrimont ospita infine le assemblee e i convegni di Apimarca e Apidolomiti e, novità 2024, propone un’area dedicata al settore delle attrezzature apistiche. Agrimont è aperto il sabato e domenica in orario 9-19, venerdì 22 marzo 14.30-19. Il biglietto di ingresso costa 8 euro, gratuito per i bambini fino ai 12 anni. Info su www.longaronefiere.it/agrimont
