Mosaico
La Torre della Città della Speranza, eccellenza a livello europeo
L’obiettivo futuro è ridurre a zero le recidive e le non risposte alle terapie
MosaicoL’obiettivo futuro è ridurre a zero le recidive e le non risposte alle terapie
«Sono stati trent’anni importanti, significativi, che hanno segnato il cuore e la mente di tutti coloro che non si sono risparmiati per poter far sì che quella che poteva sembrare un’utopia o un sogno diventasse realtà. Una meravigliosa realtà che costituisce adesso una certezza a disposizione di tutti i bambini e le loro famiglie che non devono perdere la speranza di poter avere un futuro felice». Riassume così i trent’anni della Fondazione Città della Speranza il generale Stefano Lupi, amministratore delegato dell’Irp, l’Istituto di ricerca pediatrica della Città della Speranza. «Oggi, in quella che chiamiamo la Torre della ricerca nei 17 mila metri quadri dedicati a ben 31 laboratori, vi lavorano fra i 220 e i 250 ricercatori. Possiamo disporre, qui a Padova, ma ne può usufruire tutto il territorio nazionale, di una realtà che è diventata una certezza scientifica nel panorama internazionale per tanti giovani ricercatori che possono godere di ambienti e strumentazione all’avanguardia per la ricerca pediatrica. L’impegno di trent’anni fa continua oggi con la raccolta fondi per favorire il progredire della ricerca in tutte le criticità delle malattie oncologiche pediatriche, soprattutto quelle oncoematologiche nelle quali con orgoglio diciamo di essere diventati un punto di riferimento». In questi laboratori arrivano, da tutti gli ospedali pediatrici d’Italia, i vetrini con i prelievi effettuati ai piccoli pazienti ai quali è stata riscontrata una leucemia e in 24-48 ore il campione viene processato e confermata oppure ottimizzata la diagnosi. «Trent’anni fa – spiega l’amministratore delegato – questo poteva sembrare una chimera, adesso è una realtà che ci fa sperare che l’impegno che dobbiamo continuare a profondere per almeno i prossimi trent’anni porti a far crescere ulteriormente l’Istituto perché l’80 per cento di guaribilità arrivi al 100 per cento».
Quali sono gli obiettivi che vi ponete quindi per i prossimi trent’anni? «Mettere a disposizione nuovi spazi per altri laboratori dove si possono accogliere un numero ancora maggiore di ricercatori, perché nessuno pensi che per eccellere si debba per forza dover andare fuori dai territori nazionali. Vogliamo mettere a disposizione, oltre che gli ambienti, anche strumentazioni sempre più aggiornate, adeguate, performanti. I progressi che i nostri ricercatori fanno vanno di pari passo con quelle che sono le esigenze che il mondo scientifico avverte. E la meraviglia di questa realtà è la collaborazione che noi abbiamo voluto identificare nel sistema Padova, cioè una realtà, a tre pilastri dove collaborano una struttura privata come la Fondazione Città della Speranza, l’università e l’azienda ospedaliera. Qui si fa l’interesse del pubblico, dell’utenza, di chi ha bisogno. La configurazione giuridica che ci colloca nel privato ci agevola solamente perché i processi decisionali siano più veloci».
Come amministratore delegato quali sono le più grandi soddisfazioni? «Avere la consapevolezza, una volta usciti quotidianamente da quest’istituto, di aver fatto tutto il possibile fare per mettere i nostri ricercatori nelle condizioni di vedere il sorriso in un bambino. La loro gioia è la nostra. La soddisfazione dei ricercatori forse è più emozionante quando vedono un bambino reagire positivamente alle terapie che loro hanno pensato e studiato. Ma sapere che ci sono questi risultati che condividiamo con loro è una gioia immensa».
Il progetto della seconda torre che sorgerà a fianco di quella esistente è stato depositato in Comune e attende il via libera per partire: quali sono le tempistiche e cosa si andrà a realizzare nello specifico? «Siamo all’esame di eventuale correzioni e miglioramenti. Possiamo pensare di poter partire con la posa della prima pietra nella primavera del 2025. Ci saranno 12 mila metri quadri di cui 8 mila per nuovi laboratori. I piani saranno suddivisi in base alle esigenza dei gruppi di ricerca, quindi sarà una struttura modulare dove ci sarà la possibilità di adeguare gli spazi a seconda delle esigenze dei gruppi di ricerca. Vorremmo che diventasse la Cittadella della ricerca, qui potranno trovare spazio tutti coloro che sposano la causa della ricerca». «La terapia genica – specifica Maurizio Muraca, coordinatore scientifico dell’Irp – frutto di anni di intense ricerche, è ormai una realtà consolidata. La procedura consiste nel modificare in laboratorio il codice genetico di cellule prelevate al paziente, per poi reinfonderle nello stesso soggetto con l’obiettivo di correggere una malattia congenita o di combattere un tumore. Queste procedure vengono classificate come “terapie avanzate” e devono essere svolte in strutture specializzate nella manipolazione delle cellule, denominate cell factory e certificate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). La struttura di prossima costruzione sarà diretta dalla professoressa Alessandra Biffi, già responsabile del progetto di terapia genica all’università di Harvard negli Stati Uniti. Il primo obiettivo sarà mettere a punto nuove terapia per curare bambini che manifestano recidive di leucemie resistenti ai farmaci attualmente in uso».
Qual è la caratteristica che distingue il lavoro dell’Irp da altri istituti di ricerca? «La ricerca viene fatta solo per il bambino, per tutte le malattie dei bambini – chiarisce Eugenio Baraldi, direttore scientifico dell’Irp – in particolare per le malattie ematoncologiche ed è una ricerca traslazionale, cioè arriva direttamente al letto del paziente. Il modello che ci differenzia da tutti è fondato sulle tre colonne: fondazione, azienda ospedaliera di Padova e dipartimento di pediatria di Padova. Questo significa che la ricerca viene fatta da medici biologi che vedono i bambini malati e poi fanno ricerca, quindi sanno bene quali sono le criticità. In altri istituti si fa una ricerca di base che non è strettamente connessa al paziente. Questo è stato rinforzato negli ultimi 2 -3 anni in modo da poter arrivare il più rapidamente possibile al letto del paziente. La costruzione della cell factory, è un traguardo importantissimo. Inizialmente sarà indirizzata soprattutto ai bambini con problemi di leucemie e linfomi. Oggi la sopravvivenza è nettamente aumentata, però c’è ancora un 15 per cento di bambini che hanno recidive. Il nostro sogno è ovviamente ridurre a zero le recidive o le non risposte alla terapia e questa cell factory potrebbe essere una delle chiavi per ridurre ancora di più la sopravvivenza di queste malattie. E poi l’altra cosa su cui abbiamo investito è una nuova terapia per i bambini prematuri: abbiamo sviluppato una nuova via che deriva dal cordone ombelicale. Sono delle micro particelle che servono per stimolare lo sviluppo del polmone dei bambini prematuri. Quindi un altro nostro sogno è che questa terapia per i bambini prematuri funzioni. La soddisfazione più grande è sicuramente riuscire a far sì che nuove terapie arrivino ai bambini e funzionino come per le diagnosi precoci di alcune malattie: in pochi giorni si riesce a dare una diagnosi precisa e anche a suggerire un trattamento adeguato. Siamo in grado di mettere a disposizione una diagnosi accuratissima e indicare anche che terapie possano funzionare per questi bambini».