MosaicoNotre-Dame de Paris è un universo totale, in cui si possono leggere, come spesso accade nelle opere dei geni, diverse concezioni del mondo
Uno dei più affascinanti racconti della letteratura moderna inizia in realtà con una sorta di avvertenza autoriale: nella prima pagina di Notre-Dame de Paris, data alle stampe nel marzo del 1831, Hugo, che parla in terza persona, scrive che durante una visita nella cattedrale parigina, all’interno di una delle due torri aveva notato una antica scritta sul muro: una sola parola, in greco. Traslitterata in caratteri moderni, “Ananke”, vale a dire Necessità, fato, destino, ciò-che-deve-avvenire. Quella parola, scrive il narratore, verrà cancellata nel corso di una infausta ripulitura.
L’uomo può davvero poco rispetto a qualcosa che i Greci vedevano come Necessità e che altri interpretano come imperscrutabile disegno divino. Perché Notre-Dame de Paris è un universo totale, in cui si possono leggere, come spesso accade nelle opere dei geni, diverse concezioni del mondo, da quella cattolica alla stoica, dalla a-confessionale alla materialista, fino a quella panteistica. Ma la vera protagonista, sfondo animato, concreto e spirituale insieme, è la cattedrale di Parigi, oggi finalmente riaperta dopo cinque anni dal terribile incendio che l’aveva devastata.
Iniziata nel dodicesimo secolo, su basi ancora più antiche, perenne cantiere in opera attraverso i secoli, questo monumento alla fede e all’arte diviene grazie a Hugo, il Luogo attorno al quale si svolge una storia in cui emergono le contraddizioni dell’essere umano, le classi sociali in perenne fermento e alla ricerca di un meglio che spesso si rivela un peggio, quello che rimane della antica nobiltà di sangue, arcidiaconi preda del loro stesso desiderio, zingari, donne giovanissime abbandonate alla strada che devono campare d’espedienti e devono anche difendersi dalla violenza della strada, poveretti vittime di malformazioni che però rivendicano il loro diritto all’amore.
Un apparente caos in cui sembra non esserci né legge né ordine: potrebbe sembrare la narrazione epica di un partigiano del non senso del mondo, ma Hugo sapeva che nella storia c’è anche altro, un altro che emergerà soprattutto in I Miserabili, vent’anni dopo: la morale, non solo quella umana, si nasconde talvolta nel buio del crimine, e la redenzione è possibile. Non solo nel lieto fine, ma in un elemento che potrebbe essere visto come magra consolazione: i miserabili, le vittime sono celebrati ed eternati dalla letteratura. Loro rimangono, gli altri no.
I Promessi sposi, come Resurrezione di Tolstoj, o David Copperfield di Dickens, come tutte le narrazioni in cui non regnano eroi senza macchia e paura, ma gli ultimi della terra, sono la nuova frontiera del romanzo moderno. Non più damine incipriate e cavalieri rampanti, ma gli ultimi della terra. Una vera e propria rivoluzione.
E quanto al senso della storia, non è un inno al caos un romanzo che già dal titolo presenta una cattedrale come regina -e dedicata alla Signora della città- di Parigi, unico luogo in cui il deforme scansato da tutti può vivere protetto dallo scherno e dalla violenza. Certo, luogo in cui si nasconde la turpitudine di un servo di Dio indegno, ma anche ricovero dei perseguitati, simbolo di una umanità in balìa delle forze della Necessità -l’ananke di cui parlavamo in apertura- se guardiamo alla scena del mondo solo con gli occhi della materia.
Se però andiamo oltre, ci rendiamo conto che c’è altro: la bontà, la dedizione, la pietas, l’onestà nonostante la miseria (si guardi al personaggio della zingara Esmeralda) che rimangono nella memoria profonda e rappresentano i valori eterni per i quali combattono i personaggi positivi della letteratura, spesso gli ultimi della terra, come Esmeralda o Quasimodo, come i due popolani Renzo e Lucia o i bambini di Dickens o Twain.
