Fatti
In Iraq ha vinto il voto di protesta
Intervista a Fausto Bioslavo, inviato di guerra del Giornale e di Panorama, che racconta l'esito delle elezioni politiche in Iraq e il futuro che attende il Paese.
Intervista a Fausto Bioslavo, inviato di guerra del Giornale e di Panorama, che racconta l'esito delle elezioni politiche in Iraq e il futuro che attende il Paese.
Nelle prime elezioni in Iraq dopo la vittoria sull’Isis, si ricerca in maniera assai complicata un tentativo – dagli esiti incerti – di stabilizzazione politica del Paese. A sorpresa ha vinto la coalizione guidata da Moqtada al-Sadr (Uomini in cammino), formata da musulmani sciiti e comunisti laici. Seconda l’Alleanza per la conquista di Hadi-al Amiri, formazione filo-iraniana. Terza la lista del premier uscente Haider al Abadi.
Fausto Biloslavo, giornalista di guerra, inviato del Giornale e del settimanale Panorama, nel 2003 ha seguito l’invasione alleata che ha abbattuto Saddam Hussein e nel 2017 sul campo ha seguito la monumentale battaglia di Mosul.
Moqtada al-Sadr, leader del movimento Sadrista e dell’Esercito del Mahdi, ha sorpreso un po’ tutti gli analisti di politica mediorientale. Le elezioni tuttavia sono state caratterizzate da una scarsa affluenza al voto. L’Iraq è ancora molto distante anche da una parvenza di normalizzazione?
«Sicuramente la bassa affluenza è un campanello d’allarme, dai primi dati emerge chiaramente la fotografia di un voto che ha premiato la protesta. La situazione sociale in Iraq è, in alcuni casi, davvero allarmante, ha fatto più presa il dramma di un’economia a pezzi, la disoccupazione che non dà futuro, della storica e fondamentale vittoria sull’Isis. Il Paese è nel pieno di una fase di transizione: certo si pensava a una sorta di riconoscimento politico più forte verso quei gruppi impegnati in prima linea contro lo Stato Islamico».
Washington ha incoraggiato la rapida formazione di un governo, «in modo che l’Iraq possa continuare ad andare avanti verso un futuro più sicuro, prospero e luminoso». Qual è la “grande incognita” che caratterizza la difficile strada verso la stabilizzazione dell’Iraq?
«L’influenza e le strategie dell’Iran, una variabile che però si inserisce evidentemente in una partita geopolitica più ampia. Per la politica interna invece la grande sfida che attende l’Iraq riguarda la necessaria opera di “pacificazione totale” che le diverse fazioni si troveranno ad affrontare».
Il “battitore libero” sciita Moqtada al-Sadr, il moderato Haider al-Abadi e Hadi-al Amiri, considerato vicinissimo a Teheran. È questo il piano di lettura del futuro riassetto politico nel Paese?
«L’Iraq non è mai uscito da una gestione settaria del potere: sciiti da un lato, sunniti e curdi dall’altro. In questa grande divisione ora si aggiunge forte più che mai la presenza dei due grandi nemici che si sfidano anche nel territorio dell’Iraq: Usa e Iran. Ci vorrà ancora qualche tempo per analizzare il successo di Moqtada al-Sadr (che molti pensano addirittura sia stato uno degli incappucciati presenti durante l’uccisione di Saddam Hussein), antico nemico degli Stati Uniti. Nel paese potremmo vedere delle strane alleanze: la guerra, e il suo lascito enorme di “diseredati”, ha cambiato molte certezze acquisite negli anni. Lo stesso mondo sciita appare completamente frammentato».
I rischi maggiori dunque per il futuro dell’Iraq arrivano dall’esterno (la lotta Iran-Usa) o da questioni socio-politiche interne?
«La mancata soluzione dello scontro tra sciiti e sunniti favorirà la “grande minaccia” e le tensioni esterne. Ormai il braccio di ferro tra Iran e Israele è di tipo militare e coinvolgerà tutta la regione. Dopo l’estirpazione dell’Isis, gli sciiti dall’Iran avranno il loro corridoio che passa per l’Iraq, la Siria e il Libano fino al Mediterraneo. In questo scenario vedremo anche come i sauditi intenderanno penetrare in Iraq. Gli iraniani dopo la caduta dell’Isis si stanno ora concentrando sull’area di Sinjar, una piccola città multietnica nell’Iraq Nord occidentale, vicina al confine siriano, già punto strategico del “super cannone” di Saddam per colpire Israele».