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L’Iran al voto presidenziale. Hassan Rouhani farà spazio all’ottavo presidente
Tra consensi minimi, diseguaglianze sociali e politica estera, Hassan Rouhani farà spazio all’ottavo presidente che uscirà dalle urne del 18 giugno
FattiTra consensi minimi, diseguaglianze sociali e politica estera, Hassan Rouhani farà spazio all’ottavo presidente che uscirà dalle urne del 18 giugno
Meno aderente agli stereotipi, più complesso delle apparenze. L’Iran degli ayatollah eredita la Persia (tutt’altro che araba), professa la fede della diversità islamica, coltiva un’accanita lettura dell’Italia. Nelle pieghe del regime, la dissimulazione alimenta resistenze. Diritti umani violati e pena di morte sono il frutto del “parallelismo” fra istituzioni politiche e guida clericale.
Repubblica islamica, presidenziale e teocratica dall’11 febbraio 1979, l’Iran conta oltre 85 milioni di abitanti (di cui oltre 14 nella capitale Teheran) con il 22 per cento nella fascia d’età 15-24 anni. La lingua ufficiale è il farsi e la religione di Stato è l’Islam sciita duodecimano con il 4 per cento di sunniti e il 2 per cento dei fedeli zoroastriani, ebrei, cristiani, yezidi, induisti. Sul fronte Covid, l’Iran è in ginocchio: 2 milioni 950 mila contagiati e 80.658 morti con la quarta ondata in corso, alimentata dalla variante inglese, e 257 città in zona rossa.
I “fondamentalisti”, gli Usulgaran, hanno monopolizzato con oltre 220 seggi su 290 l’undicesimo majlès, l’Assemblea consultiva islamica, equivalente al parlamento, nelle elezioni dell’anno scorso. Ma il Consiglio dei guardiani aveva cassato preventivamente metà dei 14 mila candidati, compresi 92 deputati uscenti. E alle urne si era registrata l’affluenza più bassa della storia (42 per cento): a Teheran addirittura aveva votato solo un quarto degli aventi diritto. Alla presidenza dell’Assemblea è stato nominato Mohammad Baqer Qalibaf, già generale dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione, ed ex sindaco della capitale.
Venerdì 18 giugno nella scheda saranno sette gli aspiranti eredi di Hassan Rouhani che ha esaurito i due mandati. Riflettori puntati su Ebrahim Raisi, sessantenne, al vertice della magistratura, che fu sconfitto alle presidenziali 2017. Con una bassa affluenza potrebbe perfino vincere al primo turno. In lizza Mohsen Rezaei, generale e segretario del Consiglio per il discernimento; Alireza Zakani che per due volte non era stato ammesso alle presidenziali; Saeed Jalili, ex negoziatore sul nucleare; Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi, una sorta di erede dell’ex presidente Ahmadinejad.
Poi un paio di “riformisti”. Più accreditato Abdolnaser Hemmati, da tre anni governatore della Banca centrale, che aspira al ballottaggio. Infine, Mohsen Mehralizadeh, ex ministro dello sport e governatore della provincia di Isfahan.
Escluso dalla competizione elettorale il vero candidato alternativo a Raisi: Ali Larijani, ex presidente del parlamento con una figlia negli Stati Uniti. Ha rinunciato anche il portavoce del parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf. Ahmadinejad, invece, chiama a raccolta i suoi online sul sito Clubhouse e ha già dichiarato di voler boicottare il voto.
In primo piano, a Vienna, la trattativa diplomatica sulla centrale nucleare di Natanz. Teheran aveva annunciato nuove centrifughe, esplicitamente escluse dall’accordo firmato nel 2015. Poi l’impianto ha subìto un attacco che l’Iran attribuisce al “regime sionista”. Ma il futuro dell’Iran si gioca soprattutto in chiave interna: diseguaglianze sociali, economia soffocata dalle sanzioni, consenso ai minimi termini. Il bazar e la moschea sembrano sempre più distanti, mentre i giovani pensano a emigrare.
Le statistiche segnalano circa 12 mila iraniani residenti in Italia. Spesso si sono ritrovati con il conto corrente congelato o chiuso per effetto della “dottrina Trump”. E a proposito di banche, Unicredit nella primavera 2019 ha fatto i conti con 1,1 miliardi di euro di sanzioni dal Tesoro Usa per le transazioni con l’Iran passate attraverso una banca tedesca rilevata dall’amministratore delegato Jean Pierre Mustier. Era in buona compagnia: Bnp (8,9 miliardi di dollari), Société Generale (accordo da 1,3 miliardi), Commerzbank (1,45 miliardi) e Hsbc (1,9 miliardi).
Nello Stretto di Hormuz viaggia un quinto delle esportazioni mondiali di petrolio (19 milioni di barili al giorno). E per l’Iran è decisivo: l’oro nero rappresenta la voce dell’export da quasi 70 miliardi di dollari all’anno. È la zona in cui è affondata la più grande nave della flotta di Teheran: i 400 uomini dell’equipaggio l’hanno abbandonata fra le fiamme. E un incendio ha bruciato anche una raffineria nell’area sud della capitale che lavora fino a 250 mila barili al giorno.