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Lo scenario tra Ucraina e Russia. Una guerra lunga otto anni
Don Ivan Chverenchuk segue da Padova gli sviluppi della crisi nella sua Ucraina: questa è solo l’escalation finale di una tensione mai finita
FattiDon Ivan Chverenchuk segue da Padova gli sviluppi della crisi nella sua Ucraina: questa è solo l’escalation finale di una tensione mai finita
Un passo avanti che può essere troppo. Un passo indietro che può essere troppo poco. Mentre andiamo in stampa, lo scenario di tensione che coinvolge l’Ucraina è uno “stallo alla messicana” tra chi invece delle armi vuole giocarsi la carta della diplomazia e chi paventa una guerra imminente. Il blocco europeo e quello della Nato a sinistra, il fronte filorusso capeggiato da Vladimir Putin a destra. Al centro, la terra di Kiev e di un popolo che da otto anni convive con una guerra in casa e con escalation intermittenti: «Nessuno può concretamente dirci cosa succederà, solo Putin – è la riflessione di don Ivan Chverenchuk, cappellano per la Chiesa ucraina di diritto bizantino all’interno della diocesi di Padova – La paura è relativa per i cittadini ucraini perché noi siamo in guerra da otto anni. Ora però il clima è molto più teso ed è visibile: sono saliti a 130 mila i soldati russi schierati lungo tutto il confine, non solo nell’area del mar Nero, del Donbass e della Crimea, ma anche a nord con la complicità della Bielorussia. L’Ucraina è praticamente circondata, è rimasto solo il fianco europeo, e la preoccupazione è per possibili bombardamenti sulle città grandi. La realtà è che l’Ucraina ha voltato le spalle alla Russia, guarda verso ovest: che unione può essere se comandano sempre loro, sempre con la forza?».
L’Ucraina si cautela come può “accogliendo” i missili dalla Lituania e le munizioni dagli Usa. Il governo ucraino sconsiglia alle compagnie aree di volare sul mar Nero, perché sì, sotto la coltre di apparente normalità, ci si prepara comunque al peggio: nelle scuole sono state ordinate prove di evacuazione nei rifugi, mentre alcune famiglie hanno già pronta una valigia in caso di fuga verso ovest, in direzione possibilmente Leopoli a poche decine di chilometri dalla Polonia e dall’Unione Europea: «I miei fratelli e le mie sorelle vivono nella zona occidentale dell’Ucraina – spiega don Ivan – e al momento non ci sono grandi spostamenti interni. Insomma, non c’è gente che prende le valige e abbandona tutto». Un segnale, da prendere con la cautela del caso, è arrivato lunedì dall’incontro, trasmesso dalla televisione di Sato russa, tra il presidente Putin e il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Seduti attorno a un lungo tavolo Lavrov ha confermato al presidente che la via della diplomazia è ancora aperta e percorribile. E martedì alcune truppe hanno fatto dietrofront. Il pensiero di don Ivan, però, va a quelle zone già finite nelle loro mani: «La nostra Chiesa cattolica di di rito bizantino è stata cacciata dalla Crimea. A un mio confratello con cui ho studiato, è stata messa una pistola alla tempia spingendolo a convertirsi come sacerdote ortodosso del patriarcato russo. Dove entra la Russia c’è poi il deserto, c’è la fame. Mia cugina con la sua famiglia vive lì, in Crimea, gestisce case in affitto per l’estate. L’esercito russo ha chiesto metà delle entrate: hanno rifiutato e suo figlio è stato in carcere per alcuni anni».