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Urne il 25 settembre. Le incognite del voto
Urne il 25 settembre. Le elezioni in autunno sono un problema per la legge di bilancio. E si aggiunge anche il Rosatellum con il taglio dei parlamentari
FattiUrne il 25 settembre. Le elezioni in autunno sono un problema per la legge di bilancio. E si aggiunge anche il Rosatellum con il taglio dei parlamentari
Alla fine si vota il 25 settembre. È la prima data utile che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha individuato sul calendario, dopo che l’esecutivo Draghi, con il non voto di Movimento 5 stelle, Lega e Forza Italia ha visto evaporare la maggioranza di unità nazionale che si era formata a febbraio del 2021. A quel punto lo scioglimento delle Camere era “inevitabile”. Nelle sue dichiarazioni dopo la firma del decreto di scioglimento delle Camere, il presidente ha indicato in modo chiaro e forte le responsabilità che attendono le forze politiche e si è augurato «che, pur nell’intensa e a volte acuta, dialettica della campagna elettorale, vi sia, da parte di tutti, un contributo costruttivo, nell’interesse superiore dell’Italia». Per capire cos’è successo e provare a scrutare il futuro abbiamo raggiunto al telefono la professoressa Chiara Tintori, politologa e saggista.
Professoressa ha fatto bene Draghi a dimettersi dopo il non voto dei pentastellati sul ddl Aiuti?
«Non aveva alternative. Il Movimento 5 stelle nel momento in cui ha scelto di non votare la fiducia al ddl Aiuti ha mandato un segnale politico che Draghi ha raccolto e ha consegnato nelle mani del presidente Mattarella perché era venuto meno il patto di unità nazionale. La cosa che sconcerta è vedere come una crisi si sia aperta su un provvedimento che elargiva aiuti a famiglie, imprese e lavoratori e non su tagli alla spesa pubblica. Questo per dire che è stato un pretesto».
Perché questa scelta dei 5 stelle?
«Avevano bisogno di smarcarsi dall’azione governativa per provare negli ultimi mesi di legislatura a riacquisire un po’ della “verginità” della prima ora. Mai, però, avrebbero pensato di andare subito a elezioni».
Avrebbe avuto senso un nuovo esecutivo senza M5s?
«No. Tutta la vicenda ha portato a galla una serie di veti incrociati. Oltre ai 5 stelle, pensiamo alla reazione che la Lega ha avuto sulla questione della legge sulla concorrenza. Questi veti avrebbero di fatto paralizzato l’azione di Governo.Draghi si era accorto da tempo che la maggioranza si stava sfilacciando. La domanda cruciale che ha posto ai partiti è stata: “Siete pronti per un nuovo patto di fiducia?” Non ha nemmeno ricevuto risposta negativa: non si sono trovatedelle forze politiche coraggiose, capaci di assumersi la responsabilità di dire “No, non siamo pronti”».
Qualcuno sostiene che nel suo discorso Draghi abbia fatto degli errori. Qual è la sua valutazione?
«Penso che si sia comportato con una coerenza che neanche ci sogniamo negli attuali leader politici, esclusione fattaper Mattarella. Nel discorso Draghi richiamava i partiti alla responsabilità, cioè ad approvare quella serie di riforme del Pnrr senza le quali l’Italia non va avanti e che ci consentono di essere credibili nello scenario europeo. È stato coerente. Forse ha usato un linguaggio poco politichese? Potrebbe essere. Ha richiamato alla responsabilità e alla coerenza dicendo chiaramente ad alcune forze politiche che non potevano più stare al Governo smarcandosi, protestando ogni volta che qualche provvedimento che il Governo prendeva non era di loro gradimento. Ma questa è la caratteristica delle forze populiste: hanno bisogno sempre e comunque di essere “contro”».
Lei si aspettava un esito del genere?
«Onestamente no».
Ora il Pnrr è a rischio?
«Si tratta di capire quanto nella concretezza delle singole riforme Draghi abbia impostato una sorta di pilota automatico. Potrebbe essere che alcuni dei fondi che sono stati già erogati dall’Europa siano in sicurezza, perché le riforme che mancano hanno bisogno solo di dettagli. Per le tranche successive di soldi, invece il rischio c’è».
Rispetto alle elezioni qual è la sua considerazione?
«Nella storia repubblicana l’Italia non è mai andata a votare in autunno. E questo perché la legge di bilancio, vitale per il funzionamento dello Stato, è da approvare entro il 31 dicembre. Avere elezioni in autunno pone dei problemi molto gravi».
Come immagina la campagna elettorale?
«Avremo bisogno di cittadini molto vigili e desti che aiutino i propri concittadini a recuperare una narrazione mediaticae politica veritiera, con un minimo di profondità storica, almeno per ricordare che cosa è successo dal 2018 a oggi. Dobbiamo aumentare gli anticorpi contro il populismo culturale prima che politico. Già le narrazioni della crisi che vengono fatte in queste ore stanno confezionando dei fatti alternativi e ci consegnano una realtà politica parallela.In questi anni di populismo è mutata la percezione sociale della menzogna. Oggi un politico può mentire senza più essere considerato disonesto e senza provocare alcuna reazione collettiva. Per questo sostengo che è tempo di reagirecon coraggio nei mesi che ci separeranno dalle elezioni per ridare ossigeno alla cultura democratica».
Quali schieramenti possiamo immaginare?
«Bisognerà fare di necessità virtù. Andiamo a votare con il Rosatellum, una legge che non sappiamo come funziona con il taglio dei parlamentari. Ci sono da eleggere 400 deputati e 200 senatori e nel collegio uninominale, con il candidato unico, più ampia è la coalizione e più questi avrà la possibilità di essere eletto. Inevitabilmente andranno così a comporsi degli schieramenti. Con la crisi che si è aperta abbiamo assistito alla morte di Forza Italia. Le defezioni della Gelmini, di Brunetta, della Carfagna dicono che oramai Forza Italia è schiacciata sulle posizioni populiste della Lega salviniana. Questo significa che non esiste più un centrodestra, ma una destra-destra sovranista e populista. Si tenga conto che anche il Movimento 5 stelle, come l’abbiamo conosciuto, non esiste più. Se poi Giorgetti e i governatori leghisti avessero il coraggio di Gelmini e Brunetta le cose cambierebbero ancora. In ogni caso, a questo punto si libera molto spazio al centro per altre coalizioni. Ora però è prematuro immaginare il tipo di configurazione politica. Si tratterà di vedere inoltre, chi si farà carico, oltre al Partito democratico, di portare avanti l’agenda politica che ha lasciato in eredità Mario Draghi».

L’istituto di ricerca Quorum/YouTrend ha realizzato un’indagine di voto per Sky Tg24: al primo posto Fratelli d’Italia (23,8 per cento); segue il Partito democratico (22,5 per cento). Giù Lega (13,4 per cento) e il M5s al 9,8 per cento (dopo la scissione di Di Maio era al 10,7 per cento). Dopo Mattarella e Draghi, gli italiani dichiarano fiducia a Meloni (38,7 per cento) e Berlusconi (34,3 per cento).