Fatti“Acqua bene comune” è stato il tema del dibattito organizzato il 1° ottobre nel patronato di Cittadella per riflettere su concrete soluzioni contro la scarsità idrica. Oltre a disincentivare l’uso dei pozzi privati, si è ribadita l’importanza di investire nelle riserve sotterranee
La lunga siccità dell’estate appena passata non ha certo risparmiato l’ecosistema del Brenta. Legambiente ha perciò organizzato l’incontro “Acqua bene comune”, sabato 1° ottobre al patronato Pio X di Cittadella, per formulare un ventaglio di possibili soluzioni ecosostenibili ai troppi problemi e incubi del nostro rapporto con l’acqua. Con in testa ancora nitide le immagini dei bacini letteralmente prosciugati, Luigi Lazzaro e Franco Sarto – rispettivamente presidente regionale e della sezione Alta Padovana di Legambiente – hanno da subito posto l’attenzione sui vari aspetti fluviali da salvaguardare: idrico, idroelettrico, turistico. Per poi richiedere a gran voce la realizzazione di nuovi sistemi con cui ricaricare falde sempre più basse e garantire scorte d’acqua, nonché l’equa distribuzione della risorsa primaria. Il riferimento è all’acqua che da Camazzole di Carmignano di Brenta viene convogliata verso altre zone del Veneto meridionale, negli ultimi mesi con intensità maggiore e molte più preoccupazioni (fino a 1.300 litri al secondo).La parte politica ha replicato prontamente con alcune rassicurazioni. «I prelievi da Camazzole non supereranno mai la quota di 1.800 litri al secondo, lo prevedono le disposizioni regionali – ha esordito il sindaco di Cittadella Luca Pierobon, nella veste di presidente dell’Autorità di Bacino – Anche se, in generale, non abbiamo ancora problemi di disponibilità idrica. Sarebbe utile piuttosto il supporto da chi ha pozzi privati: mettiamo a disposizione 60 mila euro a fondo perduto per implementare misuratori contro gli sprechi, li hanno utilizzati in pochissimi». Quando un presente ha ricordato che l’acqua di quei pozzi finisce comunque in falda, si è inserito Flavio Frasson, fresco di nomina alla presidenza di Etra: «I 40 mila pozzi del territorio prelevano la stessa quantità d’acqua con cui noi serviamo 600 mila cittadini». Come a dire, un cambio di passo serve comunque anche su questo fronte. Più che altro perché le crisi idriche non si esauriranno nel 2022. «Da otto anni, e per ogni anno, si registra un aumento graduale della temperatura e della relativa siccità – ha evidenziato Andrea Rinaldo, docente di costruzioni idrauliche all’Università di Padova – Di questo passo, in meno di un secolo scomparirà Venezia. Occhio inoltre alla parte amministrativa, non si può considerare la falda come un sistema da suddividere in base al territorio di singoli Comuni». Nello specifico, il contesto del Brenta è per Filippo Moretto, del Centro studi di Anbi Veneto, un “agrosistema”: «Il paesaggio nostrano è stato disegnato dall’irregimentazione delle acque». Pertanto, una calamità siccitosa si fa sentire ancora di più, in barba a chi nega il cambiamento climatico. «C’è stata la correlazione tra scarsità di neve nei mesi freddi e caldo torrido. Ogni anno la temperatura media aumenta di due gradi, ora la probabilità di riscontrare eventi estremi è triplicata rispetto al trentennio 1950-1980» ha continuato Moretto.
Il problema è che occorrono fondi per fronteggiare la situazione. Il Consorzio di Bonifica Brenta attende 6 milioni di euro dalla Regione Veneto per le aree di infiltrazione boschiva, parte del progetto Democrito: «Opere di questo tipo, che portiamo avanti dal 2007, ricaricano la falda» ha ricordato il direttore del Consorzio Umberto Niceforo. Finora ne sono state realizzate 16, ne servirebbero altre 50, previa l’individuazione di terreni e proprietari disponibili. Quindi si dovrebbe passare a nuove modalità di irrigazione. «Con quelle a pioggia si riduce di molto il consumo di acqua» ha ribadito il presidente dello stesso Consorzio, Enzo Sonza. Unite alla realizzazione e all’utilizzo di riserve idriche. «Fondamentale sarà il bacino del Vanoi e non solo». Vedi il ruolo rivestito nei mesi dal lago del Corlo. E che dire della rete di acquedotti da rendere più efficiente? «Per quelli del Veneto sono stati stanziati zero euro dal Pnrr» ha aggiunto alla fine la direttrice del Consiglio di Bacino Brenta Giuseppina Cristofani, sperando in altri bandi. La stessa Cristofani aveva però rassicurato sul contenimento delle attività inquinanti, grazie all’istituzione di aree a tutela crescente e su Camazzole, nocciolo del dibattito, che può fornire «acqua fino a un milione di utenti». Non mancano le speranze, purché si agisca quanto prima e in maniera adeguata. Senza trascurare il rischio di privatizzazionidel servizio idrico, in virtù di certe leggi europee che ne chiedono l’esternalizzazione. Il pubblico in sala ha citato lo stabilimento dell’acqua Vera nella vicina San Giorgio in Bosco, che imbottiglia per conto della multinazionale Nestlé.
In Veneto resta deficitario l’andamento pluviometrico da ottobre 2021: una media di 666 millimetri (meno 35 per cento), che rappresenta il dato più basso nei recenti 30 anni. Il fiume Adige è quasi 4 metri sotto lo zero idrometrico (record negativo dal 2012), il Bacchiglione registra una portata inferiore del 62 per cento rispetto alla media storica, arrivando a toccare anche il meno 80 per cento.
I cittadini che si allacciano all’acquedotto e dismettono il pozzo possono accedere a uno sconto del 50 per cento dei costi fino a un massimo di 2.000 euro. Al 31 dicembre 2021 erano state accolte 74 richieste, con oltre 29 mila euro di contributi erogati.
Le piogge del mese di agosto, cadute in maniera disomogenea e con diversa intensità sull’Italia, non hanno risolto la condizione di conclamata crisi idrica, presente in diverse zone del Paese già dall’estate 2021 e risolvibile ormai solo nel medio periodo. La situazione più evidente è quella delle falde sotterranee, la cui ricarica necessiterebbe di lunghi periodi di pioggia costante: in Veneto, per esempio, nonostante le recenti precipitazioni, si sono registrati livelli inferiori ai minimi precedenti. Se le precipitazioni agostane hanno anche segnato più 20 per cento sulla media regionale, si segnano deficit nelle falde superiori anche al 100 per cento.
