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Esteri. Il Sudan è travolto da una nuova guerra civile: oltre 400 morti
Scontri violenti tra due eserciti, sullo sfondo le implicazioni russe-ucraine
FattiScontri violenti tra due eserciti, sullo sfondo le implicazioni russe-ucraine
È un bollettino in costante aggiornamento, che rischia di risultare anacronistico a breve giro, quello che organizzazioni umanitarie e religiosi inviano dal Sudan, il terzo Paese più grande dell’Africa, che da sabato 15 aprile è travolto da scontri violenti tra l’esercito regolare, comandato dal presidente Fattah al Burhan, e il gruppo paramilitare parallelo Rapid Support Forces (Rsf), comandato dal vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo. In poco più di due settimane, quella che di fatto è una guerra si è propagata ben oltre la capitale Khartum con bombardamenti, artiglieria e attacchi aerei. L’Organizzazione mondiale della sanità riporta, in data 21 aprile, 413 morti accertati e 3.551 feriti. Domenica 23 aprile numerosi cittadini europei, tra cui 150 italiani, sono stati evacuati con operazioni militari. Padre Giulio Albanese, sacerdote comboniano ed esperto di questioni africane, sul Quotidiano Nazionale, dà una lettura: «Quello che sta succedendo in Sudan è anche un effetto collaterale della guerra russa in Ucraina. Hemeti (altro nome di Mohamed Hamdan Dagalo, ndr) è filorusso, molto amico di Lavrov. Subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina andò in visita a Mosca. Di recente Lavrov ha ricambiato l’omaggio. E da tempo i mercenari Wagner si sono stabiliti nel Paese, mentre prima i rapporti militari si limitavano alle forniture di armi». Mentre papa Francesco durante il Regina Coeli ha invitato tutti a «pregare per i nostri fratelli e sorelle sudanesi», Amnesty International parla di stupri, saccheggi e villaggi incendiati. Il Sudan è tra i principali Paesi più poveri al mondo, attraversato ciclicamente da carestie e conflitti etnici, il più drammatico fu quello che interessò l’area del Darfur tra 2003 e 2006: alcuni gruppi armati locali ribelli insorsero contro il Governo sudanese che rispose affidandosi ai Janjawid, un gruppo di miliziani di etnia baggara, colpevoli di vari crimini di guerra e di genocidio. Si parla di oltre 300 mila uccisioni. Il gruppo paramilitare Rsf, deriva proprio dai Janjawid, e il generale Dagalo nel corso della guerra fu uno dei capi dei miliziani attivi in Darfur.