FattiSono circa 130 e sono principalmente discariche di cui è impossibile individuare i responsabili. La Regione ha adottato un piano d’intervento, valutando l’urgenza di alcune aree, per procedere alla bonifica. I fondi, però, coprirebbero solo un terzo degli interventi
In Veneto ci sono circa 130 siti inquinati definiti “orfani”, soprattutto discariche delle quali è impossibile individuare i responsabili. Potenziali “bombe a orologeria”, dai quali potrebbe derivare un’emergenza sanitaria in caso di dispersione, come dimostra anche la recente alluvione in Emilia-Romagna che ha allagato aree molto ampie, portandol’acqua in zone agricole e industriali e mettendo in stato di attenzione anche la balneabilità di alcune spiagge. I siti inquinati abbandonati e di cui non si conosce il responsabile, perché l’azienda è fallita o perché sono passati decenni dalla contaminazione, alla fine ricadono, economicamente e per il rischio che comportano, sulle spalle dei Comuni che li ospitano. Amministrazioni locali che il più delle volte non hanno risorse per prendersi carico degli interventi necessari se non ricorrendo a fondi statali o regionali. Che sono sempre insufficienti e che sono stati assegnati in modo non sempre proporzionato alle reali necessità e ai pericoli che una mancata bonifica comporta. Almeno sino a ora, perché la Regione Veneto ha messo a punto, in collaborazione con l’Università di Padova, un nuovo sistema per definire l’urgenza degli interventi in base alla pericolosità dei siti monitorati. Un metodo scientifico aiuterà a stabilire le priorità: se i fondi non sono sufficienti, meglio concentrarli sugli interventi più urgenti. Si interviene prima dove il rischio è maggiore. «Fino al 2022 si trattava di una valutazione discrezionale ed era complicato stabilire veramente una priorità di intervento – ha sottolineato l’assessore regionale all’Ambiente, Giampaolo Bottacin –Tutti i siti risultavano prioritari, tutti praticamente a rischio alto e, in questo modo, era difficile programmare in maniera efficace il lavoro da svolgere per la bonifica». Nella deliberazione della Giunta regionale n. 988 del 9 agosto 2022 è presente l’elenco dei siti potenzialmente inquinati e inquinanti: 9 sono nella provincia di Belluno, 20 nel Padovano, 15 in provincia di Rovigo, 21 nel Trevigiano, 30 nel Veneziano, 13 in provincia di Vicenza e 23 nel Veronese. Cosa cambia ora? Grazie all’aggiornamento del Piano regionale di bonifica delle aree inquinate che è parte integrante del Piano regionale per la gestione dei rifiuti, viene pensionato il vecchio metodo basato su 11 criteri che raccoglievano informazioni fornite dai Comuni e si introduce un sistema più oggettivo, con 14 indicatori di priorità attraverso cui attribuire un punteggio che determina la pericolosità di un sito e quindi la necessità dell’intervento di messa in sicurezza. Da adesso si valuteranno in modo più preciso l’urgenza, lo stato dell’intervento, con priorità a quelli già avviati e prossimi alla conclusione, l’indifferibilità e la possibilità di attivare in tempi rapidi il cantiere. Un peso lo avrà la progettazione di rigenerare il sito bonificato per una fruizione legittima, per esempio che sia prevista l’apertura di un parco pubblico. L’assessore sottolinea che, fino a oggi, non è andata così: «La Regione si è dotata di modalità oggettive e meno discrezionali possibile per la valutazione della gravità della contaminazione presente nei siti regionali in modo da rendere più trasparente la concessione dei contributi che, via via, si renderanno disponibili». E comunque non saranno sufficienti, almeno nel breve periodo. La copertura finanziaria è tra i 50 e i 60 milioni di euro e consente di intervenire su circa un terzo dei siti mappati. Non da ultimo il numero dei siti orfani non è ancora stato definito con precisione e la nuova mappatura regionale dovrà essere verificata prima di dare il via ai lavori. «Finalmente la nostra Regione si dota di un modello per valutare gli interventi non rinviabili, fissando delle priorità – evidenzia Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – La situazione dei siti inquinati “orfani” preoccupa perché non c’è responsabile, e senza gestione il rischio aumenta. Preoccupano anche molti siti che hanno una lunga storia di abbandono. Il tema discariche è stato sottovalutato, soprattutto se consideriamo il potenziale pericolo derivante dalla penetrazione nel suolo del percolato non gestito in modo corretto, una penetrazione che può arrivare alle falde». E il presidente di Legambiente cita l’esempio più noto e uno dei più preoccupanti per le conseguenze derivabili da un ritardo nelle operazioni di bonifica, quello della discarica Corsea in Comune di Sarcedo, che dal gennaio scorso ha un progetto di intervento approvato: «La discarica di Sarcedo, in carico alla Provincia di Vicenza dopo il fallimento della ditta incaricata e una lunga storia di abbandono, si trova vicino alla falda che rifornisce l’acquedotto che porta l’acqua a Padova. Un altro intervento importante è partito alla ex C&C di Pernumia, dove dopo dieci anni di abbandono le responsabilità private vengono pagate con soldi pubblici. E anche in questo caso attingendo alla legge speciale per Venezia, che ha un fondo per la bonifica del bacino scolante mentre altre aree rimangono escluse e vanno trovare risorse apposite».
Si va dall’ex discarica Rsu Damos a Pieve di Cadore a quelle presenti a Porto Tolle, passando per l’inquinamento da solventi delle falde a Oderzo o Mogliano Veneto. Nell’elenco è presente anche l’ex C&C di Pernumia, la “fabbrica dei veleni”: nata per il recupero di rifiuti speciali di industrie chimiche ha lasciato 44 mila tonnellate di scarti pericolosi. Nel 2021 è iniziata la bonifica.
Il nuovo modello adottato dal Veneto si fonda sul quello gerarchico di tipo assoluto (Analytic Hierarchy Process). Spiega Chiara D’Alpaos, docente del dipartimento di Ingegneria civile Unipd: «L’Ahp è una tecnica multi-criteri che consente di tradurre in termini quantitativi valutazioni di tipo qualitativo, per assegnare i pesi in modo trasparente, riducendo l’arbitrarietà. Il modello di valutazione e i pesi sono stati validati tramite discussione con esperti e stakeholder. Questo ha portato alla co-costruzione favorendo la creazione di consenso rispetto al processo decisionale».
