FattiGenitorialità e affettività si rapportano con delicatezza e difficoltà dell’avere cura di un figlio disabile. Trecento famiglie hanno condiviso le loro storie
Sono oltre trecento le famiglie italiane e straniere di Padova e Rovigo che hanno seguito il percorso biennale di formazione e confronto “Oltre le differenze. Famiglie in relazione” organizzato dall’Associazione Famiglie Persone con disabilità Irpea Padova nell’ambito della rete Utenti per caso, sostenuto da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nell’ambito del bando Welfare, con il patrocinio del Csv e la collaborazione di “Patto per lo sviluppo di un nuovo welfare” e di altri nove partner sociali, tra cui Ulss 5 e 6 e Comuni di Padova, Rovigo e Piove di Sacco. Ben 93 gli incontri organizzati incentrati su due temi principali: essere genitori e fare rete. «Da un lato condividere e riflettere su temi legati alla qualità della vita – specifica Maria Taurisano, psicologa e psicoterapeuta che ha seguito il progetto – dall’altro capire perché i familiari non conoscono i servizi. Creare informazione vuol dire creare nuove connessioni e incentivare nuovi processi». Il risultato del percorso è stato quello di aver creato una dimensione di relazione importante, un lavoro di tessitura con gli enti del territorio, un luogo di ascolto, confronto, scambio per le famiglie che hanno scoperto un nuovo senso di appartenenza alla comunità. «Chi ha partecipato – racconta infatti Lara Fornaro, educatrice professionale e psicologa – si è sentito accolto e ha potuto esprimere liberamente i propri bisogni. Condividere ha promosso vicinanza. Sentirsi parte di un gruppo ha dato spinte nuove per trovare soluzioni alle difficoltà quotidiane». Condividere è proprio una delle parole chiave per Alessandra, mamma di una ragazza con disabilità che ammette le difficoltà incontrate: appena nata la figlia hanno vissuto l’attesa della diagnosi, l’attesa della ripresa dopo i tanti interventi chirurgici e l’attesa per le dimissioni. «Tornati a casa – racconta – avevamo paura di camminare con le nostre gambe. Era molto complesso muoversi nell’ambiente della burocrazia. È importante non stare da soli ed è molto importante ascoltare quello che noi genitori abbiamo da dire sui nostri figli. A scuola dovremmo insistere perché nelle classi si facciano più esperienze con i nostri figli e osservare così il mondo da un’altra angolatura, imparare a conoscere e a non aver paura. Condividere per acquisire sensibilità maggiore». L’ascolto, il dialogo, il fare rete, ma anche la solitudine, la frustrazione e la sensazione di disgregazione nella coppia, nella famiglia, nel rapporto con gli altri figli, sono concetti che ritornano spesso nelle storie di chi che vive la fragilità di un familiare. Lo riconosce anche Adriana, mamma di una ragazza di 28 anni, affetta da pluripatologie, cerebrolesa dalla nascita. Un’esperienza dura e senza sconti, che costringe la sorella maggiore di undici anni, a crescere velocemente e responsabilizzarsi: «La mia riflessione parte da un accorato appello affinché venga istituito a livello nazionale un dipartimento ad hoc che dia informazioni, indirizzi, supporti e percorsi idonei da attuare. Siamo spesso privi di conoscenze e in una condizione di frustrazione che ti rende impotente nell’ascoltare i verdetti degli specialisti che, a loro volta, ti rendono poi ancora più fragile e vulnerabile. Molto spesso non ci sono accompagnamenti al percorso o sono insufficienti. Fondamentale è l’assistenza psicologica per i genitori e la famiglia, per la coppia che molto spesso non è più coppia». E poi c’è un altro aspetto da non sottovalutare: «È importante – afferma Alessandra – mantenere il proprio lavoro, interessi e contatti sociali, far parte della comunità e non isolarsi. Essere persone che ancora provano stimoli e positività, per costruire quella autostima necessaria per affrontare la vita». Per Elvio che si è occupato del fratello maggiore, mancato l’anno scorso all’età di 75 anni, affetto da tetraplegia spastica e con lo sviluppo cognitivo di un bambino di sei anni, sono la qualità della vita e lo sviluppo sociale della persona con disabilità a dover essere messi al centro della riflessione: «Era il primo di cinque fratelli – ricorda – ma non ci siamo mai fatti condizionare dalla sua situazione e i nostri genitori non l’hanno mai fatta pesare. In paese aveva una seconda famiglia allargata e per lui era importante sentirsi integrato, utile e impegnato. Era una forma precoce di inclusione sorta spontaneamente nella comunità del paese che lo aveva capito e accettato con la sua diversità e le sue mille emozioni che sapeva trasmettere»
Fra le criticità del progetto la poca partecipazione delle famiglie straniere che vivono una doppia condizione di fragilità. Per cercare una risposta è necessario domandarsi come stanno queste famiglie. «La popolazione straniera rappresenta l’8,70 per cento di quella italiana – spiega Carlo Zagato, presidente della cooperativa sociale Porto Alegre – La povertà assoluta, il disagio abitativo la dispersione scolastica incidono molto di più sulle famiglie straniere che su quelle italiane. Cosa possiamo fare? Promuovere comunità coese e solidali, uscire dai cliché che ci ingabbiano». A rafforzare questo pensiero le parole di Khaoula, tunisina, mamma di un bambino di nove anni che soffre di disturbi dello spettro autistico, con un’altra figlia più grande e un marito che lavora all’estero: «Sono da sola – confessa – ed essendo straniera ho un ostacolo ulteriore con lingua e cultura diverse. Ma a volte è lo stato d’animo di fragilità he abbiamo che ci impedisce di capire e non l’ignoranza, per questo bisogna essere sensibili con i genitori di figli con disabilità. La chiarezza delle informazioni fa la differenza. La mia speranza è che con il tempo possiamo coltivare un ambiente in cui la diversità è accolta a braccia aperte, in cui le differenze si vedono come una ricchezza, dove ciascun bambino indipendentemente dalle sue difficoltà o dalle sue origini possa sentirsi amato e compreso». Aggiunge il sociologo Paolo Pezzana: «È necessario passare da una logica estrattiva (prendo il più possibile da ciò che mi viene offerto) a una contributiva (lavorare in modo congiunto). Solo così le persone si sentono legittimate a prendere parola e ad avere un ruolo attivo e propositivo. Si sentono riconosciute. Per essere generativi bisogna mettersi in ascolto delle persone, dei loro desideri, saperi e competenze».
Veneto Lavoro con il sostegno di Fondazione Cariparo ha avviato il progetto “ProPotenziamento risorse per l’occupabilità”: con un investimento di oltre due milioni di euro e attraverso percorsi sperimentali, il progetto offre a oltre un centinaio di individui con “capacità lavorativa potenziale” la possibilità di svolgere tirocini retribuiti presso cooperative sociali o seguire corsi di formazione gratuiti.
Il Cda della Fondazione Milano Cortina 2026, riunitosi martedì 30 gennaio, «ha espresso ottimismo sulla vicenda dello sliding centre di Cortina d’Ampezzo, in attesa che Simico (Società infrastrutture Milano Cortina 2026) sottoscriva il contratto con l’azienda appaltatrice». È quanto spiegato dalla stessa Fondazione che di fatto non pone ancora una decisione effettiva. Affidare i lavori per la pista da bob a Cortina «confermerebbe il masterplan originario che individuava già la Regina delle Dolomiti come la sede» che però comporterebbe un extra budget «per la realizzazione di alcuni allestimenti». Tuttavia, visti i pareri negativi pervenuti dal Comitato olimpico internazionale, il Cda ha dato mandato all’ad Andrea Varnier «di proseguire il lavoro di negoziazione di un eventuale “piano B” che richiederà anche questo un extra budget».
