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Thiene, prima pietra per la casa di comunità. Salute, di casa in casa
A Thiene lo scorso 2 ottobre è stata posata la prima pietra della casa di comunità, una delle 99 che sorgeranno in Veneto. Ma come funzioneranno?
A Thiene lo scorso 2 ottobre è stata posata la prima pietra della casa di comunità, una delle 99 che sorgeranno in Veneto. Ma come funzioneranno?
Passano per una significativa riqualificazione di spazi non utilizzati nel Centro sanitario polifunzionale Boldrini i lavori per quella che sarà la nuova casa di comunità di Thiene. Circa 1.300 metri quadrati complessivi adibiti a centro trasfusionale, punto prelievi e ambulatori per medici di medicina generale e alcuni servizi amministrativi al piano terra (circa 670 metri) e nuovo reparto di fisiokinesiterapia al secondo piano della struttura (altri 630 metri). I lavori comporteranno un investimento complessivo di 1,84 milioni di euro e saranno sostenuti con i fondi europei previsti dal Pnrr per 1,25 milioni. «Saranno concentrati nella nuova Casa tutti i servizi necessari per dare alla nostra popolazione, sempre più anziana e bisognosa di cure, un’attenzione tutta particolare» ha commentato al via dei lavori il 2 ottobre il direttore generale dell’Uss 7 Pedemontana, Carlo Bramezza. Un cambiamento non solo formale, secondo le intenzioni della Regione, ma un’opportunità per favorire l’incontro tra bisogni sanitari e socio assistenziali e medici e operatori sanitari concentrati in un unico spazio. L’obiettivo delle case di comunità – il Decreto ministeriale 77 del 2022 ne prevede 1.038 in Italia, 99 in Veneto – è quello di organizzare in aree con una popolazione tra le 40 e le 50 mila persone servizi sanitari e assistenziali che evitino il ricorso all’ospedale come unico punto di arrivo di ogni bisogno sanitario e raggiungano i cittadini il più vicino possibile le loro residenze. In particolare sono previsti ambulatori per pediatri e medici di base che in gruppo garantiscano maggiori orari di apertura e siano supportati da personale amministrativo e infermieristico e servizi assistenziali che i piccoli Comuni faticano a garantire. Le Case di comunità venete saranno 20 nell’Ulss 6 Euganea, 19 nella 9 Scaligera, 17 nella 2 Marca trevigiana, 12 nell’Ulss 3 Serenissima, 9 nella 8 Berica, 8 nella 7 Pedemontana, 5 ciascuna nelle Ulss 4 Veneto orientale e 5 Polesana, 4 nell’Ulss 1 Dolomiti. Sul bisogno di una riorganizzazione della medicina di base non nutre dubbi Maurizio Scassola, segretario regionale della Federazione medici di medicina regionale. Che parte però da una considerazione sulla situazione esistente: «Oggi circa il 35 per cento dei medici di medicina generale lavora da solo, il 40 per cento in medicina di gruppo con poco personale di supporto, solo il 23 per cento dei medici lavora in gruppo integrato con personale di segreteria e infermieristico adeguato. Se non ripensiamo tutti i sevizi della medicina generale, ai bisogni della popolazione e a quelli dei medici, ai troppi medici che non hanno alcun sostegno, al ruolo che il medico di base svolge in zone poco abitate, con frazioni disperse, come punto di riferimento di un’area vasta e lo fa senza personale di segreteria, allora le Case di comunità non risolveranno i problemi delle aree carenti di servizi». Bene i finanziamenti per le strutture, sottolinea il rappresentante dei medici di base, ma una riflessione più approfondita va fatta sugli obiettivi complessivi. «Oggi non sappiamo quali lavori verranno fatti, quali medici di medicina generale potranno entrare nelle nuove strutture e con quali oneri. Bisogna mettere i medici di prossimità nelle migliori condizioni per svolgere il loro servizio anche in aree difficili, aggregandoli dove possibile, con un servizio di segreteria che faciliti l’accoglienza e garantisca continuità. Con le case di comunità si va verso un secondo livello, più centralizzato, ma rimangono buchi nei servizi sul territorio».
Le 99 case di comunità in Veneto raggiungerebbero una media di 48.967 pazienti per ciascuna struttura e coprirebbero un’area di 185 chilometri quadrati. Spiega l’assessore Manuela Lanzarin: «Una rivoluzione culturale che sarà accompagnata dalla sperimentazione del numero unico sociosanitario 116117, alle 49 centrali operative territoriali, ai 30 ospedali di comunità».