FattiIl Comitato della Convenzione di Berna ha deciso di accogliere la richiesta di abbassare lo status da rigorosamente protetto a protetto. Cosa cambia?
«Non dobbiamo leggerla come un “via libera” per l’abbattimento di tutti i lupi in una determinata Nazione. No, non sarà possibile perché comunque come Stato membro anche l’Italia deve mantenere uno stato di conservazione soddisfacente della specie». Emanuele Pernechele, esperto della Regione Veneto in politiche dell’Ue per la montagna, fa chiarezza sulla decisione – presa lo scorso 3 dicembre – del Comitato permanente della Convenzione di Berna, organo decisionale della Convenzione nata nel 1979 “per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa”, di declassare lo status di protezione del lupo da “rigorosamente protetto” (allegato II) a “protetto” (allegato III). L’allegato II della Convenzione di Berna, a cui aderiscono 49 Paesi più l’Unione europea, elenca, infatti, le specie di fauna “rigorosamente protette”, quelle minacciate al punto da essere meritevoli di una tutela particolare e tra queste, possiamo dire ora, figurava il lupo, vittima di una feroce persecuzione nel secolo scorso che ne aveva causato l’estinzione da alcuni Paesi europei: «Quando l’uomo decide di intraprendere l’allevamento, abbandonando il nomadismo, parliamo di 10 mila anni fa – ricostruisce Pernechele – è entrato in conflitto con il lupo. In Italia, dagli anni Settanta in poi abbiamo visto una graduale presenza, con branchi che prima hanno conquistato le Alpi occidentali, siamo intorno al 1992, e poi anche quelle orientali: dal 2012 abbiamo registrato una presenza in Veneto con una popolazione strutturata, stanziale, e che gode di un buon numero. Non è, insomma, compromessa la sua esistenza anche perché in Veneto abbiamo branchi non solo sulle Alpi, ma anche tra i Colli e lungo il Po, nella provincia di Rovigo. Le cose sono mutate molto in fretta: all’aumentare del numero dei lupi sono cresciuti anche i conflitti sociali con numerose predazioni. Le notizie quotidiane hanno sollecitato la politica, da qui si è arrivati alla decisione del Comitato, decisione che seguirà ora il suo iter e che avrà compimento ufficialmente il 7 marzo». Il documento entrerà in vigore tra tre mesi, a meno che almeno un terzo degli Stati firmatari della Convenzione di Berna (17 su 49) non si opponga. Nel 2024, ricorda Pernechele, le predazioni nel solo Altopiano sono raddoppiate rispetto al 2023. Come già affrontato durante questa estate, ricordiamo che dalla relazione della Regione Veneto, pubblicata nel 2023 e che fa riferimento al biennio 2020-2022, emerge che l’espansione della specie del lupo sia dal punto di vista spaziale che demografico è evidente su tutte le Alpi italiane e questa tendenza è confermata anche nel settore orientale e in Veneto. Dal 2014-2015 al 2021-2022, infatti, l’area minima di presenza è aumentata di quasi quattromila chilometri quadrati. Attraverso un continuo monitoraggio regionale, poi, risulterebbero identificati, nell’anno 2020-2021, i profili genetici individuali di 64 esemplari di lupi, di cui 33 femmine, 30 maschi e un individuo di sesso indeterminato, raggruppati in almeno 15 branchi. Per l’anno successivo, abbiamo con certezza 40 esemplari aggiuntivi di lupo, di cui 16 femmine e 24 maschi, e un minimo di 11 branchi individuati.
«Oggi rimuovere uno o più lupi da un contesto territoriale si può fare ma le maglie sono molto strette, devi dimostrare danni reiterati all’allevamento, che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, che lo stato di conservazione sia soddisfacente – spiega l’esperto – Poi si fa richiesta a livello regionale, come peraltro abbiamo fatto noi in Veneto in questo 2024, e si deciderà se rimuovere i soggetti. Io uso il termine “rimozione” perché comprende più azioni, tra cui certamente l’abbattimento, ma non è questo il punto: il fine, l’obiettivo è infatti rieducare il lupo. È inutile pensare di dotarsi di cani di guardiania o di recinzioni, perché sono difficilmente applicabili in un contesto malghivo come il nostro. No, va educato, attraverso proiettili di gomma per esempio, che ne scoraggino l’avvicinamento. Noi abbiamo chiesto che non sia solo il personale istituzionale già peraltro in sotto organico, ma che sia gestito anche da personale adeguatamente formato e sotto controllo per coadiuvare, per essere maggiormente efficaci».
Ma dunque, ora, cosa cambia? «Gli strumenti di manovra saranno più ampi, ma se una Nazione deve comunque garantire lo stato di conservazione deve sapere da quanti elementi è composta. Dunque anche l’Italia, attraverso un continuativo monitoraggio efficace, deve dotarsi di un piano di gestione del lupo che attualmente possiamo dire di non avere: questa è un’occasione, un’opportunità per monitorare l’iter e dotarsi di strumenti. È importante seguire la tematica senza approccio ideologico, con posizioni estreme, ma in maniera tecnica, scientifica e con grande conoscenza, non solo della biologia del lupo, ma anche del territorio con le sue peculiarità, per far sì che l’iter legislativo sia calato nel migliore dei modi nei nostri contesti. Ecco perché non si può parlare di montagna italiana: ogni contesto ha la sua peculiarità. Rispettiamo la scelta, ma sta a noi seguirla e implementarla».
Se l’iter dovesse portare effettivamente al declassamento del lupo, la “palla” passerebbe poi all’Unione europea che dovrà avviare una modifica legislativa alla “direttiva Habitat”, approvata il 21 maggio 1992 dalla Commissione europea con lo scopo di promuovere il mantenimento della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali nel territorio europeo.
