Fatti
Eletti i 4 giudici costituzionali
La Corte costituzionale è uno di quegli organi di garanzia che fanno la differenza tra le autentiche democrazie e i regimi
FattiLa Corte costituzionale è uno di quegli organi di garanzia che fanno la differenza tra le autentiche democrazie e i regimi
L’elezione di quattro giudici costituzionali da parte del Parlamento riunito in seduta comune è una notizia che può apparire importante solo per gli addetti ai lavori. Di sicuro non è di quelle che scaldano i cuori ed eccitano le passioni politiche, sempre pronte ad attivarsi alla minima (e spesso fatua) polemica dentro e fuori gli schieramenti. Si tratta invece di un evento di grande rilevanza e dalle implicazioni profonde, al di là dei suoi aspetti tecnici. E questo per due ordini di motivi.Il primo riguarda proprio il merito della questione. La Corte costituzionale era a ranghi incompleti dal novembre 2023 e dallo scorso dicembre, con la scadenza simultanea di altri tre giudici, aveva perso quasi per intero la sua componente di nomina parlamentare. La saggezza dei costituenti aveva disegnato un organismo composto non solo da personaggi con specifiche competenze in materia giuridica, ma anche dalla provenienza ben articolata: cinque membri nominati dalle Camere, cinque dal presidente della Repubblica, cinque dalle alte magistrature. Il venir meno di quattro giudici su cinque tra quelli eletti dal Parlamento comprometteva questo equilibrio e, più in generale, metteva a rischio lo stesso funzionamento dell’organismo, dato che undici su quindici è il minimo dei membri richiesto per poter deliberare. Un numero non scelto a caso, ma per assicurare almeno una rappresentanza di tutte e tre le componenti. Si era quindi creata una situazione eccezionalmente grave, tale da indurre il capo dello Stato a parlare di “un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento”. Non ci si meravigli per l’inusitata severità del richiamo di Mattarella. La Corte costituzionale, così come ad altro titolo lo stesso presidente della Repubblica, è uno di quegli organi di garanzia che fanno la differenza tra le autentiche democrazie e quei regimi che dal consenso elettorale pretendono di derivare un potere sostanzialmente illimitato. Ma in una vera democrazia, come il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli ha ricordato in una recente intervista, “una maggioranza non può tutto” e tanto meno un singolo leader. Purtroppo stiamo invece assistendo a livello internazionale (ma certe suggestioni si affacciano talvolta anche in casa nostra) a una torsione illiberale della democrazia, intesa come puro esercizio elettorale senza garanzie né diritti. E non è una mera coincidenza che gli attacchi propagandistici sulla scena globale abbiano finito per raggiungere anche il nostro presidente della Repubblica.Il secondo ordine di motivi riguarda il metodo. L’elezione dei quattro giudici ha rappresentato uno dei sempre più rari esempi di intesa tra partiti di maggioranza e opposizione su una materia in cui è in gioco l’interesse della casa comune. Basterebbe questo elemento per attribuire un valore speciale a quanto è avvenuto nelle Camere riunite. Non è superfluo ricordare che a ottobre, quando il giudice da sostituire era soltanto uno, la premier aveva tentato un blitz parlamentare per far eleggere il suo consigliere giuridico, il costituzionalista Francesco Saverio Marini. Blitz fallito perché l’operazione è venuta alla luce e il quorum richiesto si è rivelato un ostacolo insormontabile. Ora Marini compare legittimamente tra i quattro giudici nominati, ma all’interno di un accordo trasversale che ha fatto convergere su ciascuno di essi il voto di oltre 500 tra deputati e senatori su un totale di 600. Senza farsi troppe illusioni per il futuro, siamo comunque di fronte a un precedente molto significativo. Le forze politiche hanno dimostrato che un’intesa “repubblicana” alla fine è possibile e questa opzione potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale in una stagione in cui corrono tempi duri per le democrazie.