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Chiesa IconChiesa | In dialogo con la Parola

martedì 7 Maggio 2019

IV Domenica di Pasqua *Domenica 12 maggio 2019

Giovanni 10, 27-30

Redazione
Redazione

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

La voce del pastore

Pochi versetti, ma densi di significati. Siamo nel Vangelo di Giovanni, che si diverte a riportare lunghi discorsi di Gesù. Ricordiamoci che Gesù parlava a tutti: davanti a lui si presentavano piccoli, umili e semplici, ma anche dotti, sapienti, persone sensibili e aperte al discorso religioso, curiosi di approfondire. Così Gesù costruisce i suoi esempi attorno alle più ardite considerazioni teologiche, che spesso lasciavano più sconcerto che chiarezza in chi ascoltava. Probabilmente è questo il motivo per cui gli altri evangelisti hanno evitato di riportare questi lunghi discorsi. Giovanni, che scrive dopo tutti, si permette di inserirli per spiegare e approfondire il più possibile il senso delle cose. Leggendo il vangelo si nota comunque che queste pagine provocano molta perplessità in chi ascolta. Più Gesù si spiega, più la gente appare confusa. Ecco allora che ogni tanto appaiono piccole frasi, sentenze brevi, come se Gesù cercasse di ricapitolare tutti i concetti che sta portando avanti attorno ad alcune immagini. Qui produce la famosa immagine delle pecore. Si era presentato come il buon pastore e aveva presentato i suoi come pecore, può quindi dire che le sue pecore ascoltano la sua voce.

Nelle parole di Gesù ascoltare è molto diverso da sentire. Per un ebreo ascoltare significa anche fare quello che qualcuno ha chiesto. Gli ebrei usavano lo stesso verbo per dire ascoltare e per dire obbedire. Anche noi nel nostro linguaggio quando ci lamentiamo che non ci ascoltano, spesso intendiamo che qualcuno non ha fatto quello che avevamo richiesto. Gesù riporta, come Dio Padre prima, l’attenzione sul momento fondamentale dell’ascolto, per dirci che tanto parte da lì. Ci sono troppi suoni in sottofondo, ci sono sempre suoni in sottofondo. L’ascolto va educato, va affinato, va fatto riposare e concentrare su quelle cose che vale la pena effettivamente di ascoltare. Oggi appare evidente: dalle cuffie perennemente nelle orecchie dei giovani ai televisori perennemente accesi degli anziani, alle autoradio perennemente funzionanti in ogni macchina. Ma anche ai tempi di Gesù c’erano tante voci che si intromettevano nella vita delle persone, e lui richiede la purificazione di tutto ciò. Altrimenti tutto si confonde, si appiattisce e diventa uguale. Indistinto. Invece in mezzo al rumore costante di sottofondo capita a volte che parte una canzone ben precisa legata a ricordi particolari, ed ecco che la si ascolta in maniera differente. Una voce di una persona cara che risuona all’orecchio all’improvviso rianima tutto quanto dentro di noi. Il modo con cui ascoltiamo in questi momenti è molto diverso emotivamente parlando. A questo sta alludendo Gesù con l’esempio delle pecore che ascoltano il loro pastore. 

La voce del pastore ricorda molte cose alle pecore. Ricorda innanzitutto che lui le conosce. Questo pastore sa bene chi sono le sue pecore perché ha voluto conoscerle. Ha voluto ascoltarle lui per primo, per sapere cosa provano e cosa hanno da dire. Ha voluto informarsi sulle loro condizioni, sui loro stati d’animo, sulle loro emozioni e sui loro sentimenti. In modo che una pecora davanti a lui si senta apprezzata, valorizzata e ben voluta. E si senta se stessa. Non è facile sentirci noi stessi e allo stesso tempo apprezzati. Spesso per essere apprezzati ci abbassiamo alle aspettative che gli altri hanno su di noi. Ma è evidentemente un finto apprezzamento, perché dentro di noi sentiamo che quello che viene apprezzato è un’idea che si ha di noi, non siamo noi. È come se per essere apprezzati dovessimo essere diversi da quello che siamo. Non è così con il pastore invece. Con lui non è necessario essere diversi. Con lui possiamo tirare un sospiro di sollievo. Con lui possiamo essere tranquilli. Con lui possiamo anche lasciar cadere i muri con i quali ci difendiamo. Perché la sua voce è diversa da tutte le altre voci. La sua voce va ascoltata. La sua voce ci ricorda cose belle e buone. Ci ricorda un mondo preparato per noi, senza le imperfezioni che le altre voci di solito ci rimandano. In qualche modo ci ricorda quella moltitudine descritta nel libro dell’Apocalisse. È gente che proviene da ogni parte del mondo e del tempo. Ogni popolo, nazione, lingua sono rappresentati. E tutti possono assaporare quello che il Signore, il pastore, ha preparato per loro. Non avranno più fame, né sete; non li colpirà più sole, né arsura; Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. In qualche modo, quando sentiamo la voce di Dio dentro di noi, è come se sentissimo nostalgia di tutto questo. È questo che ci mette nel cuore il desiderio di ascoltare ancora questo Dio. Ed è questo che ci dà la forza di seguirlo. Anche quando la mente ci dice che ci stiamo sbagliando, che ci stiamo ingannando, che non ne vale la pena. In realtà è il nostro cuore che sta ascoltando. La mente sente, il cuore ascolta.

Sperando di avere i cuori in ascolto Gesù lancia alcune frasi che hanno lo scopo di evidenziare il suo forte legame con il Padre. La sua unione del tutto particolare con lui. Quel legame unico che non viene mai definito, ma è ben esplicitato. Io e il padre siamo una cosa sola: non vi serve sapere come, dice Gesù, vi basta sapere che è così. Se vi aiuta prendetelo per buono, e continuate a fidarvi. Lo dice qui perché sta promettendo alle pecore la sua protezione totale. Nessuno potrà mai strapparle da lui. In lui c’è tutta la forza e la potenza di Dio. Il suo operato è in tutto e per tutto legato a Dio. Per gli ebrei del tempo di Gesù era indispensabile sapere che le novità che lui portava si legavano comunque da quello che era il loro passato e la loro tradizione. Lui stava continuando una storia, non inventandone una completamente nuova. Rinnovava. Sapere che entriamo dentro qualcosa di nuovo senza tralasciare niente però di quanto ci è stato prezioso nel passato è una garanzia e una sicurezza ulteriore da sfruttare. 

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