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Chiesa IconChiesa | In dialogo con la Parola

martedì 15 Ottobre 2019

XXIX Domenica del Tempo Ordinario *Domenica 20 ottobre 2019

Luca 18, 1-8

Redazione
Redazione

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Mani alzate

Dopo i discepoli che chiedevano fosse aumentata la loro fede, dopo i lebbrosi guariti che sembravano non sapere cosa farsene della salvezza portata loro dalla fede, Gesù era stato contattato da un gruppo di farisei che volevano sapere dell’arrivo del regno di Dio. Gesù si rende conto che le idee sono ancora confuse, che la fede cercata interessava perché si volevano dei successi immediati, come dimostrava anche l’episodio dei dieci lebbrosi. Allora ancora una volta, con pazienza, Gesù si ferma e propone una parabola per correggere il tiro. Propone l’ideale grande e potente della preghiera, introducendo un ulteriore tassello al quadro che stava dipingendo, un tassello indispensabile perché le cose andassero tutte al loro posto nel cuore e nella mente dei discepoli. Perché era facile che le cose sembrassero fuori posto e quindi non venissero più considerate. 

I farisei che si preoccupano del regno che non arriva probabilmente lo fanno perché stavano pregando per quel regno, ma i risultati sembrano non mostrarsi. Apparentemente le cose avrebbero dovuto funzionare in maniera diversa. Gesù stesso aveva detto: chiedete e vi sarà dato. C’era poi l’esempio della preghiera di Mosè che viene riproposta questa settimana come prima lettura: durante una battaglia feroce contro gli amaleciti Mosè tiene le braccia alzate verso il cielo in costante preghiera, e finché riesce a tenere le braccia sollevate Israele ha la meglio! È fin troppo semplice che dentro la testa di un fedele passi questa idea: finchè tengo le mie braccia sollevate, finchè prego, allora quello che chiedo deve capitare!

Gesù sapientemente sposta l’attenzione dai risultati alla preghiera stessa. Il punto centrale della parabola non è il risultato ottenuto, bensì l’insistenza con cui è ottenuto, la caparbietà della vedova che non molla e continua imperterrita nel suo proponimento. Che era comunque lo stesso fulcro presente pure nella scena di Mosè, quando è costretto a trovare un espediente per continuare a tenere le braccia sollevate perchè da solo non riesce più a farcela, e allora Aronne e Cur lo aiutano e tengono su loro le sue braccia. L’importante sono appunto queste mani alzate verso Dio e rivolte a lui, per chiedere a lui una mano, per chiedergli aiuto, per continuare a restare in comunicazione con lui e dialogare con lui. Quando pensiamo a queste pagine forse tutti corriamo al risultato finale, ma la scena di Mosè in preghiera è vero che porta alla vittoria, alla salvezza, alla sopravvivenza, ma lo scopo di quella scena è mostrare il potere della preghiera, il bisogno di continuare a stare dentro quel dialogo con il Signore, anche e soprattutto nel momento in cui questo fosse difficoltoso. Quelle mani alzate sono proprio il gesto dell’uomo che tende verso Dio per poter stringere la sua mano e sentirla, afferrarla e camminare insieme. Sono le braccia e le mani che continuamente i sacerdoti tendono verso l’alto nelle celebrazioni perché questo dialogo non si interrompa mai, sono le mani che si alzano spontaneamente nei fedeli alla preghiera del padre nostro. 

I discepoli sono distratti dall’esito finale: Mosè alza le mani e vince, quindi se io alzo le mani devo vincere subito allo stesso modo. Gesù ribatte proponendo di concentrarci sulle mani alzate. C’è un’immagine dal mondo antico che può aiutare a capire il senso della preghiera come lo sta indicando Gesù. È l’immagine di Ulisse che sopravvive alle sirene. Ulisse sapeva che chi ascoltava il canto delle sirene si sarebbe tuffato verso di loro e loro lo avrebbero ucciso. Ma voleva assolutamente sentire quello che era il canto più bello del mondo. Allora tappa le orecchie dei suoi marinai, ma lui si fa legare al palo della nave che sosteneva le vele, in maniera da non potersi sciogliere. Quando la nave passa nei pressi delle sirene tutto il suo corpo e tutta la sua volontà vorrebbero buttarsi in acqua, ma non può farlo, perché è legato. E così ascolta senza morire, la nave si allontana e lui è salvo. La preghiera è come quel palo, che ci salva nel momento del bisogno più estremo. Ci tiene ancorati a noi stessi permettendoci di attraversare le tempeste più impressionanti e spaventose. Ci fa stare saldi. Ci tiene lontani dalla disperazione. Ci aiuta anche a non perdere la fede. Non è un caso che la domanda finale di Gesù che viene posta ai suoi dopo la parabola sulle preghiera riguardi proprio la fede. Gesù dice che il Signore è si pronto a fare giustizia ma allo stesso tempo si preoccupa di sapere se quando sarebbe tornato sulla terra avrebbe ancora trovato la fede. Non è una domanda semplice, però ci serve, perché ci sprona, e perché ci ricorda che Dio è sulla nostra stesa barca. Quante volte, con una preghiera fedele, durante le tempeste ci siamo accorti che ad un certo punto le tempeste erano passate, le avevamo superate, magari non indenni, però ancora vivi, e che per tutto il tempo il Signore non ci aveva dato magari quello che avevamo chiesto, però era lì, a dialogare con noi, a tenerci per mano e a condurci fuori dal pericolo. La fede che torna ancora alla ribalta per la terza settimana consecutiva, deve sostenere la nostra preghiera, deve alimentarla, deve animare il nostro rapporto con il padre, finché non arriviamo a chiedere le stesse cose, la sua volontà che chiediamo sia fatta così diventa quello che noi stiamo compiendo; il suo regno che chiediamo venga diventa quello che noi stiamo costruendo.

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