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Chiesa IconChiesa | In dialogo con la Parola

mercoledì 23 Ottobre 2019

XXX Domenica del Tempo Ordinario *Domenica 27 ottobre 2019

Luca 18, 9-14

Redazione
Redazione

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Santi peccatori

Lo sguardo attento di Gesù sulla realtà anche oggi si posa su di noi e ci dà i riflessi giusti che illuminano i nostri passi. Ancora una volta infatti si mette a guardare in profondità, svelando quello che si nasconde tra le pieghe, quello che non appare in superficie, quello che magari avremmo potuto equivocare non prestando la giusta attenzione. Tutto parte da due uomini che, come tantissimi altri, si erano recati al tempio a pregare. È una parabola, ma Gesù la costruisce partendo da quello che aveva visto con i suoi occhi, e rilegge per noi le sue esperienze. Accosta così questo fariseo e questo pubblicano, e ci offre due preghiere, dopo l’esortazione alla preghiera della settimana scorsa, come un maestro che corregge i compiti per casa.

Il fariseo era uno che seguiva scrupolosamente quello che all’epoca era richiesto per essere considerato un bravo religioso. Anzi, di più. Per non sbagliare, per eccessivi scrupoli, i farisei avevano preso ad aumentare la dose delle prescrizioni previste. Quello che dovevano fare cercavano di farlo al meglio, anche con sacrifici se fosse stato necessario. Non è cosa semplice digiunare ogni settimana per ben due giorni, eppure lo faceva. Non era semplice neanche riuscire a pagare sempre tutto quanto c’era da pagare attraverso la tassazione della decima, eppure lo faceva. E ringraziava Dio per questo. A questo fariseo Gesù accosta un pubblicano. Persona molto criticata, molto malvista, anche odiata e disprezzata dalla maggior parte della gente. Però non necessariamente era una cattiva persona. I pubblicani erano gli esattori delle tasse, quelli che le riscuotevano per gli occupanti romani. Questo era uno dei motivi fondamentali per cui si erano attirati l’odio degli israeliti: lavoravano per Roma, l’impero venuto da lontano a togliere loro la libertà e anche i soldi, che li costringeva a convivere con un esercito in casa, militari stranieri che non esitavano a usare la forza e la violenza quando serviva, che non andavano molto per il sottile quando fosse necessario. E che erano guidati da divinità strane, bizzarre per un giudeo, che li portavano a vivere in maniera strana, che gli ebrei facevano fatica a comprendere e ad accettare. Tanto che saranno l’unico popolo che i romani non riusciranno a domare fino in fondo e li puniranno per questo in maniera atroce, distruggendo tempio, capitale e di fatto smantellando Israele come Stato e disperdendo il popolo. Esisteva anche un altro motivo per cui si odiavano i pubblicani. Qualcuno di loro era anche disonesto, e ne approfittava in maniera vergognosa. Riscuotendo le tasse facevano la cresta su quello che dovevano incassare, chiedendo di più e intascando la differenza. 

Fariseo e pubblicano li troviamo al tempio, quindi ci vengono mostrati in un momento in cui condividono lo stesso intento, ma Gesù ci fa notare l’abisso che corre tra i loro diversissimi atteggiamenti. Il fariseo si presenta con tutte le sue opere buone. Quasi si stupisce per quante sono, se ne compiace. Ringrazia comunque Dio, poi inizia a fargli presente tutto quello che di buono lui fa. E praticamente non si smuove da lì, dal ripetere a Dio quanto lui sia bravo. È in questo balletto attorno a se stesso che si inganna: lui infatti può essere bravo quanto vuole, ma non riesce assolutamente a inserire Dio in quello che sta facendo. Lui è già bravo, praticamente non ha bisogno di Dio, la sua vita trascorre tranquilla e perfetta. Il pubblicano partendo dallo stesso principio fa un percorso completamente diverso. Si guarda, con profondità, ma non vede la perfezione, vede invece tanti suoi difetti ed errori, riconosce tutti i suoi sbagli e i suoi peccati. Se ne rende conto e vuole rendere conto a Dio e lo fa con la sua semplice ma accoratissima preghiera: «Signore, abbi pietà di me peccatore!». Si accorge che nella sua vita c’è bisogno di Dio, ci deve essere assolutamente spazio anche per Dio. Il pubblicano sa per esperienza personale che non può fare da solo. Per questo si rivolge ai suoi peccati, perché solo così può inchinarsi, riconoscere il bisogno di Dio, e mettersi da parte per fare spazio a Dio. Solo con questa umiltà il dialogo tra dio e l’uomo può funzionare.

È un concetto che non tanti anni fa era ribadito dal nostro santo cappuccino, san Leopoldo, il quale grande confessore si confessava a sua volta tutti i giorni. A pensarci può sembrare un’esagerazione, una cosa difficile da capire, anche eccessiva. In realtà, passando la vita insieme ai penitenti san Leopoldo aveva avuto un’ottima palestra per affinare la sua sensibilità in questa prospettiva. Anche lui, come il pubblicano, aveva ben presente la condizione del peccatore, e aveva chiaro che tutti ci troviamo in questa condizione, lui compreso. E ogni giorno sentiva l’esigenza di presentarsi davanti al Signore e dirgli: «Guarda, oggi in questo momento e in quell’altro non sono stato capace di farti posto! Perdonami!». Semplicemente mostrava a Dio tutte quelle occasioni in cui non lo faceva entrare nella sua vita, ma solo per poterle levare via e fare anche lì spazio a Dio. Così che Dio ha potuto agire sempre più profondamente in padre Leopoldo e fare in lui le cose grandi che ha fatto. Il ricordo di chi lo ha conosciuto di solito è grande, ma solo perché erano grandi in lui l’umiltà e la preghiera. La settimana scorsa Gesù insisteva sul valore della preghiera, questa settimana suggerisce fortemente l’umiltà come segreto per penetrare con efficacia nel dialogo tra noi uomini e Dio con efficacia.

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