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Rubriche | I Blog/"Cosa c'entra Dio?" - Manuela Riondato

sabato 15 Dicembre 2018

L’arrivo su Marte. Sguardo in alto, osiamo di più

Il nostro desiderio di conoscenza non è fine a se stesso, ma ci riporta al Creatore.

Redazione
Redazione

La notizia del mese è InSight, missione della Nasa che ha fatto arrivare su Marte un lander attrezzato per lo studio dell’attività tettonica del pianeta, e che è in grado anche di misurare le sue condizioni atmosferiche. InSight sarà completamente operativo tra circa un paio di mesi, ma intanto ci è già arrivata la registrazione del suono del vento di Marte, che al di là della curiosità è un elemento indispensabile per la missione.

InSight è la notizia del mese non solo per aver toccato con successo il suolo di Marte (operazione molto complessa), ma anche perché si tratta di uno studio mai compiuto prima: servirà a comprendere un po’ di più la struttura e la storia di questo pianeta, con la possibilità di ricostruire meglio anche quella del sistema solare, e poi per raccogliere dati che saranno utili in vista di una futura colonizzazione. Sembra più fantascienza che scienza, ma non si tratta di pura fantasia: molti sono i progetti attivi, sia su Marte che sulla Terra, per studiare un possibile adattamento dell’uomo e della vita sul pianeta rosso.

Ma ci serve davvero un altro pianeta da colonizzare? Non dovremmo piuttosto prenderci cura di questo? Certo, le missioni spaziali hanno una notevole ricaduta sulla tecnologia che ci troviamo a usare tutti i giorni (e magari neanche lo sappiamo) e che aiuta a migliorare le condizioni di vita di chi è in difficoltà in vari ambiti, come nella medicina, nell’agricoltura, nell’utilizzo e nel riciclo delle risorse (basta una breve ricerca in rete per farsi un’idea, un esempio: http://www.media.inaf.it/2017/01/23/spinoff-nasa-2017/) e si potrebbe continuare.

Ma allora non è un po’ troppo ambizioso voler colonizzare un altro pianeta? Nel 1970 il vice-direttore scientifico della Nasa, Ernst Stuhlinger, a una suora in servizio in Zambia che faceva una domanda simile mettendo al centro il problema della fame nel mondo, rispondeva: «I progressi significativi nella soluzione di problemi tecnici non sono spesso realizzati attraverso un approccio diretto, ma tramite obiettivi più grandi e ambiziosi che portano a una maggiore motivazione per l’innovazione, che spingono l’immaginazione oltre e fanno sì che gli uomini diano il loro meglio, e che innescano catene a reazione» (Cfr. https://www.ilpost.it/2012/08/08/perche-spendere-cosi-tanto-per-lo-spazio/). Ma l’espressione che mi ha colpito di più di questa risposta, di cui consiglio la lettura, arriva al termine: egli definisce l’era spaziale come «uno specchio per vedere noi stessi». 

È qui che mi sento interpellata come cristiana. Ognuno è chiamato a un “di più” che spinge a dare il meglio, investendo tutti i doni ricevuti, non solo perché preoccupati per l’oggi, ma in vista di un futuro migliore, di una vita bella, che ci faccia essere pienamente uomini e donne. Lo stesso Gesù ci pone in questa logica: la sua è una proposta di vita alta, una sfida “ambiziosa” nel senso più bello del termine, che chiede a ciascuno di mettere in gioco ciò che è e che può, orientando al bene le proprie capacità e aspirazioni. Siamo stati creati così, con un’intelligenza da mettere a frutto e con un desiderio grande di conoscenza che non è fine a se stesso, ma che in un modo o nell’altro vuole riportarci al nostro Creatore.

Oggi, per un’iniziativa della Nasa lanciata qualche anno fa, il mio nome è stampato su un microchip di InSight e si trova su Marte. Quanto più allora la mia vita è chiamata ad alzare lo sguardo e a osare di più, di fronte alla pienezza della vita in Cristo!

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