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Rubriche | I Blog/La mano alzata - Stefano Bertin

domenica 8 Aprile 2018

Il valore del lavoro sta anche in chi acquista

L’umanità al lavoro. Stiamo attenti a ciò che compriamo, ma non al contratto di chi lo fa.

Redazione
Redazione

Il carrello è tratto. Inizia la spesa: un occhio alla lista delle cose che mancano e l’altro alle offerte/novità del negozio. Il tutto nel rispetto del bilancio familiare. Mi aggiro tra gli scaffali e per lo stesso prodotto mi si offrono decine di possibilità, ognuna delle quali gioca la sua carta: chi punta sulla qualità, chi sulla marca o sul prezzo, sulla novità o sulla confezione. Dall’altra parte ci sono io che metto sul tavolo i miei gusti, necessità, abitudini e le immancabili manie. La partita estenuante tra me e i prodotti ha un momento di pausa quando arrivo “al banco”, perché lì entra in campo Gino. Il suo titolo ufficiale, “addetto alle vendite”, non fa giustizia del suo prezioso ruolo. Per fortuna la familiarità permette di chiamarci per nome; continuando, nel rispetto dei ruoli, a darci comunque del lei. La disponibilità di Gino ha creato un clima di fiducia, al punto da potergli chiedere consigli.

Paradossalmente, la mia condizione di cliente indeciso, invece di infastidirlo lo porta a rivestire il ruolo di guida culinaria. Più volte gli ho dovuto raccontare del successo avuto con i menu, partoriti dalla sua esperienza e fantasia. Tutto questo è finito qualche settimana fa, perché Gino è stato sostituito. «Avvicendamento interno» mi ha riferito il nuovo addetto, rassicurandomi che comunque la qualità dei prodotti rimane la stessa.

I prodotti resteranno pure gli stessi, ma non c’è più Gino. La sua scomparsa ha suscitato in me diverse emozioni, ma tra tutte si è fatto strada un sentimento di riconoscenza. Si è riconoscenti dinanzi a un dono, cioè a ciò che ti è offerto gratuitamente.

Lo stabilirsi di una relazione permette di cogliere che anche in un contratto di compravendita, c’è una dimensione umana fatta di rispetto e gratuità.

La gentilezza di Gino è la riprova che non tutto può essere comprato o venduto, perché le cose più importanti si possono solo donare. Entrare nella logica della riconoscenza significa sperimentare che nessuno si è fatto tutto da solo. La vita, le persone, il creato intero sono doni che ci vengono elargiti in ogni istante, perché li traffichiamo affinché portino frutto in abbondanza. La riconoscenza verso i doni del passato apre il presente a farsi dono per il futuro.

La riconoscenza non ha solo questa dimensione contemplativa, ma ci porta anche a conoscere meglio (“ri-conoscere”) la realtà. In questo caso, la dignità del lavoro. Il lavoro non può essere ridotto a semplice merce, facendo della convenienza il solo metro di misura. Nel lavoro va ri-conosciuto il fattore umano: la persona con le sue potenzialità e relazioni, con i suoi ineludibili diritti e doveri. Se viene meno il rispetto del lavoratore, lo si riduce alle sue sole capacità e competenze e al limite alle sue braccia.

Questo ri-conoscimento del valore del lavoratore riguarda anche noi consumatori. Siamo, giustamente, interessati perché ci siano date tutte le informazioni sulla qualità e provenienza di quanto compriamo, ma alquanto indifferenti su quale tipo di contratto di lavoro si è basata la produzione di quanto mettiamo sul carrello.

A quando esigeremo etichette con su scritto: «Fabbricato rispettando i tempi di vita del lavoratore»; «Per questo prodotto non è stato sottopagato nessuno »; «Sfruttamento free»; «Inscatolato impiegando soltanto contratti a tempo indeterminato». O obbligheremo altri a dichiarare a titoli cubitali: «Nuoce gravemente alla salute di chi l’ha costruito»; «Chi umilia il lavoratore, umilia anche te. Digli di smettere».

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