Su Alex Langer si possono scrivere e si sono scritti libri interi. Il fatto che oggi, a trent’anni dalla sua tragica e prematura scomparsa (3 luglio 1995), ci chiediamo che cosa avrebbe detto, che cosa avrebbe proposto, che cosa avrebbe fatto, dice molto della sua caratura profetica. Era l’uomo capace di guardare oltre. Forse perfino costretto suo malgrado a vedere oltre, col rischio, che è di tutti i profeti, di essere incompreso, sbeffeggiato, lasciato solo.
Certi cuori non hanno difese e continuano a battere forte, anche quando tutto il resto intorno dorme, drogato dall’ideologia e dagli interessi di parte. Finché l’anima prende il volo.
Alexander Langer nacque a Vipiteno, la città più a nord d’Italia, il 22 febbraio del 1946. In una terra, l’Alto Adige, i cui destini erano ancora in sospeso, oggetto di contesa al tavolo delle trattative di pace. Solo il 5 settembre di quell’anno i ministri Karl Gruber e Alcide De Gasperi avrebbero firmato a Parigi l’accordo che sanciva i confini, garantendo al Sudtirolo l’autonomia. Proprio il 22 febbraio, tre anni prima, i giovani studenti della Rosa Bianca (Sophie e Hans Scholl, Christoph Probst) vennero processati dal Tribunale del Popolo di Monaco, condannati a morte e immediatamente ghigliottinati.
Una vita sospesa tra mondi in potenziale conflitto, orientata al coraggio civile, alla giustizia e al bene. Un politico di quelli che rendono vera l’espressione “politica forma più alta di carità”. Una politica non dell’apparire, ma dell’essere. Non del personaggio, ma dei contenuti. Non della convenienza ma del bene comune.
Alex Langer, l’uomo del confine. Passava da una parte all’altra, non come fanno gli opportunisti, ma perché bisogna essere “mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”. Perché occorrono “traditori della compattezza etnica”, o di qualsiasi altro tipo di appartenenza che disumanizza quando antepone l’io, il gruppo, alla comune natura umana. Traditori “ma non transfughi”.
Alex Langer, il visionario realista. Come quando all’indomani della caduta del Muro di Berlino presentò al Parlamento europeo una proposta di risoluzione per la riforma dell’Onu. Preoccupato “di fronte alla tragica evidenza dei limiti dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite, e in particolare del Consiglio di Sicurezza, nel far rispettare tutte le proprie risoluzioni, e farle rispettare con mezzi incruenti, per svolgere il compito primario di evitare guerre e garantire un ordinamento giusto a tutti i popoli” e di “radicare e rafforzare un ordine internazionale giusto, e perciò forte e convincente”. Sembra di sentire Francesco, nel suo senso di impotenza, di fronte alla “terza guerra mondiale a pezzi” e alla “debolezza della politica internazionale”, e Leone col suo appello: “Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace”.
Alex Langer, il manovale della politica. Come quando lavorò alla proposta, da sottoporre all’Unione Europea, per la creazione di Corpi civili di pace, col compito di prevenire i conflitti, di agire nelle regioni in guerra con la forza del dialogo nonviolento, della convinzione e della fiducia da costruire o restaurare, “portando messaggi da una comunità all’altra”.
Alex Langer, l’anticipatore. Come quando, tra pochissimi in Italia, parlava di “conversione ecologica”. E si chiedeva: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? La risposta la diede l’ultima volta ad Assisi, a Natale del 1994, con un intervento memorabile nella sua semplicità. Si trattava di trovare, con i giovani, le piste “per un futuro amico”. Concluse, come aveva fatto altre volte, citando il motto olimpico “citius, più veloce, altius, più alto, fortius, più forte, più possente”. Dicendo: “Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quintessenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti”. “Io vi propongo il contrario. Vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini: più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo”.
Quel 3 luglio dell’anno successivo non fu il giorno della ritirata. Nemmeno della resa. Semplicemente, questa volta, il fiume non lo poté attraversare, nemmeno sulle spalle di Cristoforo, suo santo ispiratore. Urlò quelle parole, la cui eco risuona, dopo trent’anni, intensa uguale: “Continuate in ciò che era giusto”.
Noi donne e uomini, cittadine e cittadini di un mondo dal fiato corto e dal cuore di plastica, abbiamo grande nostalgia di Alex Langer e la gioia di avere camminato un po’ con lui.
E continuiamo in ciò che è giusto.