Mosaico
“Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone, e scendere, lungo i sentieri profumati di menta, giù per le gole di Giudea”.
Inizia così un testo poetico di Tonino Bello che ritorna alla mente pensando al Natale 2025, il Natale di un altro anno di morte e distruzione in Palestina come in molte altre terre a partire da quella ucraina. Il dolore innocente si leva in un susseguirsi di violenza, di odio e di malvagità di coloro che non si dovrebbero chiamare i “grandi della terra”.
“Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori i quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d’Oriente”.
Noi cadiamo nell’illusione che si possa stare al sicuro nella propria casa mentre fuori dalla porta è conflitto e guerra. Non ci accorgiamo che il bimbo del presepio indica altri bimbi che tremano e muoiono di freddo, di fame, di paura.
“Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, lo so. Molto più difficile di quanto sia stato per i pastori ai quali, perché si mettessero in cammino, bastarono il canto delle schiere celesti e la luce da cui furono avvolti”.
Quei canti nella notte parlavano di pace e di buona volontà. Noi, confusi da parole vane e spesso ostili, abbiamo paura del silenzio perché sappiamo che non è un vuoto di parole ma è una comunicazione che bussa lieve e insistente alla porta della coscienza in attesa che si apra.
“Andiamo fino a Betlemme. È un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so. Ma questo, che dobbiamo compiere «all’indietro», è l’unico viaggio che può farci andare «avanti» sulla strada della felicità”.
Noi pensiamo che la felicità sia una cosa nostra e allontaniamo i volti di quanti nelle acque di un mare cercano un sorriso, una stretta di mano, un frammento di felicità. E invece si sentono invece dire in lingua italiana che la loro sofferenza e la loro umiliazione sono un fatto che non sussiste.
“Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. L’importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso”.
L’importante è muoversi, è uscire da sé stessi per cercare e incontrare quell’infinitamente piccolo che comprende il Tutto. Come quel bimbo che le onde del mare hanno cullato prima di deporlo ormai senza vita sulla spiaggia. Fino a quando vincerà il timore di aver preso una direzione sbagliata perché alla grotta e su quella spiaggia ci sono solo gli umili ma non i superbi?
“Andiamo fino a Betlemme. È un viaggio lungo, faticoso, difficile” è un viaggio della speranza che dal tempo della guerra e della ingiustizia porta al tempo della pace e della giustizia.