Rubrica | I Blog/Terra terra - Antonio Gregolin
Arte, cibo per la mente: non può essere gratis
Mai come ora l’arte, la cultura, la leggerezza del divertimento sono “cibo” per le genti e per le menti.
Mai come ora l’arte, la cultura, la leggerezza del divertimento sono “cibo” per le genti e per le menti.
Mai così tante proposte, offerte, spettacoli, eventi, dopo l’allentamento delle restrizioni Covid-19, con città e paesi travolti da una piena di offerte. Una “liberazione artistica” che sta mettendo a dura prova gli addetti del settore, passati dall’immobilità di due anni fa, al superlavoro di questi mesi. Calendari fittissimi di ogni genere di proposte occupano la nostra vita, privata di quel “cibo” per l’anima, che ci ha visto per un lungo tempo come in crisi d’astinenza. Astinenza artistica cresciuta con la pandemia, che abbiamo sfogato con i tormentoni artistici dai tetti e balconi delle nostre case. Mai quindi come oggi, sentiamo la necessità che il vivere sia anche altro dalle solite preoccupazioni e tensioni quotidiane. L’arte quindi come valvola di sfogo personale e sociale? Ciambella di salvataggio dell’umanità? Speranza dei popoli? Rifugio dalla realtà? Sì, se vogliamo scomodare Fëdor Dostoevskij, mai così tanto citato come durante la pandemia stessa, con il suo intramontabile motto “La bellezza (o armonia) salverà il mondo!”. Una cosa dovremmo però aver compreso: che l’arte è la più grande forma di terapia umana. Che senza arte moriamo dentro. Nell’intelletto. In quel nostro sentirsi al mondo e nel mondo. L’arte quindi, con i suoi molteplici linguaggi, è sentimento ed esperienza. È cibo immateriale che vale tanto quanto il pane quotidiano! Noi poi che come italiani, l’arte ce l’abbiamo nel nostro dna culturale, fino a diventarne maestri, la respiriamo in ogni nostro gesto quotidiano. Unico neo di questo panegirico è che non sempre siamo consci che l’arte che produce bellezza ha inevitabili costi, di manutenzione e produzione. Spesso ci si affida al volontariato, ma non basta per alimentare il fiume di creatività del nostro Paese. Le aperture di spazi, teatri, mostre ed eventi, sebbene subiscano ora l’effetto “piena”, non risponde alla volontà di “mantenere” chi vive d’arte. E chi vive d’arte è uno strategico contribuente del Pil nazionale, che vale il 17,7 per cento dell’intera economia italiana. Fare l’artista in Italia, viene percepito ancora come una passione e poco un mestiere vero e proprio. Un passatempo e divertimento individuale. Quando invece è capacità di saper creare quel “cibo” di cui il mondo ha fame e non sembra mai sazio.