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Autonomia. Feltrin: «Una battaglia rimasta al Novecento»
«Tutta questa euforia del centrodestra, e dall’altra parte tutto questo furore della sinistra proprio non lo capisco»
Idee«Tutta questa euforia del centrodestra, e dall’altra parte tutto questo furore della sinistra proprio non lo capisco»
Il politologo Paolo Feltrin, docente emerito di Scienza politica all’Università di Trieste, sa benissimo, come tutti coloro che hanno ascoltato i telegiornali e aperto i quotidiani, che martedì 23 gennaio il Senato ha approvato il disegno di legge Calderoli sull’autonomia. Un provvedimento fortemente richiesto proprio dal Veneto, e in particolare dal presidente Luca Zaia. Ora, il provvedimento passa all’esame della Camera. E, dunque, passeranno ancora dei mesi prima che diventi legge. Ma il punto principale è un altro, secondo Feltrin.
Professore, cosa non la convince? «Nessuno dice che questa è una legge solamente di procedura. Stabilisce come le Regioni potranno, eventualmente, chiedere l’autonomia differenziata in base al Titolo V. La legge non dà vita ad alcuna autonomia, chiaro? Sarebbe come se chi ha fatto la legge elettorale dicesse di aver vinto le elezioni».
Eppure, si parla di legge spacca-Italia… «Tra chi esulta e chi si indigna, prevale la propaganda politica. Alla sinistra, però, va detto che il ddl approvato stabilisce dei criteri per applicare la riforma del titolo V della Costituzione, riforma promossa nel 1999 e votata, nel 2001, dal centrosinistra. L’unica cosa che si può dire è: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Aggiungo che in questi anni hanno negoziato con il Veneto i sottosegretari o ministri Gian Claudio Bressa (Pd, Governo Gentiloni), Erika Stefani (Lega, Conte 1°), Francesco Boccia (Pd, Conte 2°), Maristella Gelmini (all’epoca Forza Italia, Governo Draghi). Non si è ottenuto nulla. Si è deciso di intervenire sulla procedura per avviare la richiesta. Potrà succedere di tutto, o anche niente. In ogni caso, sono stati inseriti tanti di quei paletti, che metà bastano».
Ma andando nel merito? Serve o no, l’autonomia? «Mi sembra una battaglia tutta interna al Novecento, quando uno dei temi è stato quello di differenziare la proposta politica a seconda dei territori. Nel ventunesimo secolo i problemi sono altri, il grande tema è quello di coordinare i servizi, di saper abitare la società delle reti. Pensiamo, per un momento, a cosa succederebbe se ogni operatore telefonico facesse come vuole lui… avremmo la “Babele”. Gli smartphone funzionano perché, pur nella loro diversità, sono tutti ugualmente integrabili. Oppure, pensiamo se all’epoca del Covid il Green pass fosse stato regionale!».
Questo significa che non c’è spazio per le autonomie locali? «Assolutamente no, ma bisogna agire in modo nuovo! Perché le Regioni, invece di voler comandare a casa loro, non si propongono di incidere sul Governo del Paese, di comandare a Roma togliendo un po’ di burocrazia, invece di voler fare come vogliono a casa propria? Perché non pensiamo a un vero regionalismo?».
A suo avviso, il presidente del Veneto Luca Zaia “merita” un ulteriore mandato? «Per quanto mi riguarda è un problema che non si pone. In tutto il mondo democratico, l’elezione diretta è bilanciata dal tetto di mandati. La logica è: ti do tanto potere, ma introduco un contrappeso. È un criterio così vero, che Fratelli d’Italia si sta convincendo che esso va introdotto anche per il premierato. Quando si afferma “lo vuole il popolo” si dice una bestialità, perché la democrazia è l’esatto contrario di “potere al popolo”, è basata sul rispetto delle regole e sulla tutela delle minoranze. Altrimenti il popolo può anche votare il fascismo e il nazismo, e tra Cristo e Barabba, non dimentichiamolo, sceglie Barabba».
L’opinione di Paolo Feltrin: «Zaia ha un capitale di consenso come nessun altro presidente di Regione. Personalmente, non mi stupirei di vederlo candidato alle Europee, visto che Salvini lo sta implorando, e poi ministro dell’Interno. Ugualmente, non mi stupirei se diventasse advisor di qualche società del Nordest».