Può essere un momento opportuno per porsi una domanda scomoda: qual è il posto dell’università, oggi, in Italia e nei grandi Paesi avanzati. Pochi giorni fa è stato celebrato a Bologna, la prima università del mondo, fondata nel 1088, il ventesimo anniversario del cosiddetto processo di Bologna, che ha definito un circuito europeo di riconoscimento degli studi superiori. Ma con quale obiettivo? Già, perché l’Università non è una super scuola: certo si deve responsabilmente porre il problema degli sbocchi professionali, ma vuole esser qualcosa di più, il luogo di trasmissione di un sapere che innova, un sapere critico, ambizioso
L’unico antidoto a forme degenerative, che sono ovviamente sempre possibili, è da un lato il tono delle istituzioni, dall’altro la qualità dei soggetti e dunque dei loro comportamenti. Ha detto Mattarella: “La Costituzione prevede che l’assunzione di qualunque carica pubblica – ivi comprese, ovviamente, quelle elettive – sia esercitata con disciplina e onore, con autentico disinteresse personale o di gruppo; e nel rispetto della deontologia professionale”. Non servono ennesime riforme istituzionali. Ma bisogna che le istituzioni abbiano il loro tono, la loro dignità, solennità. In effetti il più insidioso pericolo di questo circuito di malaffare è proprio alimentare un circuito perverso di sfiducia, di delegittimazione per cui finisce coll’avere ascolto solo che la grida più forte e la spara più grossa e non l’impegno a cambiare in meglio
Questo malessere, questo problema di dis-ordine non si può superare semplicemente curando i sintomi, cosa che peraltro resta necessaria. Prima o poi bisognerà affrontarlo in profondità, prenderlo sul serio e riconnetterlo con lo sviluppo delle democrazie. Consapevoli però che questo implica, come peraltro Papa Francesco ci pungola a fare in tutti campi, un cambio di passo e anche un cambio di paradigma
Il dimagrimento dei due principali gruppi, la frammentazione, rilanciano la sfida, per tutti, sulla nuova questione sociale. Che è anche quesitone sugli obiettivi e sul rilancio del disegno europeo. Una Unione assolutamente necessaria, che questo esemplare esercizio di democrazia ha confermato come uno spazio straordinario di sviluppo, ma che giustamente tutti dicono deve cambiare passo. E per questo servono anche riferimenti morali, ideali e culturali. Di cui rappropriarsi molto, molto presto
La questione attraversa il livello sociale centrale, quello che con una espressione abusata e ora inesatta si chiamava ceto medio. E votava per le “famiglie politiche tradizionali”. La chiave giusta per interpretarla e così dare delle risposte nuove, ovvero adeguate ad un nuovo orizzonte europeo e mondiale, forse è proprio il concetto e il senso di comunità. Da cui costruire qualcosa di nuovo
Esiste un’Europa delle idee, dei principi, dei valori, dei riferimenti ideali. Esiste però anche un’Europa di carta, quella dei trattati, delle istituzioni, delle procedure. Esiste infine un’Europa della vita quotidiana. Il problema, il grande problema oggi è che queste tre diverse Europe, tutte reali vanno ciascuna per proprio conto, confliggono Non è sempre andato così. All’inizio forze politiche forti e coerenti, garantivano una sintesi, che generava fiducia, consenso e in concreto benessere diffuso. La divergenza di queste tre Europe è frutto di due passaggi, la svolta neo-liberista degli anni novanta e la svolta della mondializzazione dei primi anni duemila. Passaggi lasciati, per l’insufficienza del pilotaggio, a loro stessi. Il pilota automatico, ovvero mercato e profitto a breve per pochi, non ha funzionato. Se ne sono accorti i cittadini, eccome: così si rischia solo di andare a sbattere
È tempo per l’Italia di invertire la rotta, acquisendo una adeguata consapevolezza e una corrispettiva qualità del personale politico e delle istituzioni. Questa metafora della “via” aiuta. La via della seta non può essere a senso unico e l’Italia da sempre è un crocevia tra questa antica strada e quelle che portano a nord, in Europa, e ad ovest, verso le Americhe. Un crocevia da valorizzare con una nuova e grande capacità inclusiva ed espansiva di tutte le forse vive del Paese. Che purtroppo non si vede ancora sufficientemente all’orizzonte
Disunita strutturalmente come è, l’Italia non esercita al meglio il proprio ruolo. Dunque c’è bisogno di un impegno di tutti gli attori per “contare di più”, anche perché l’Europa rischia, tutta, di essere vaso di coccio in una rinnovata competizione globale. In secondo luogo l’appeal delle istituzioni europee è al minimo storico proprio perché, avendo rimosso la questione dell’identità, finiscono coll’essere percepite semplicemente come avatar, cioè incarnazioni evanescenti, di un pensiero globale neo-liberista, lontano dagli interessi e dal cuore dei popoli
Non perché è ideologico, come molti si ostinano a ripetere, con l’obiettivo di creare conflitti intra-ecclesiali e nell’opinione pubblica, ma perché mette ciascuno e dunque anche i decisori e i responsabili politici di fronte alle proprie responsabilità. Assicurando nel frattempo comunque la sollecitudine pastorale e caritativa alle persone concrete. Ma nella chiara distinzione dei piani e dunque delle responsabilità