“Ieri al confine c’era una coda lunga oltre 16 chilometri”. Da Tbilisi, mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, conferma al Sir le notizie che le agenzie di stampa stanno battendo in queste ore.
Nell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, la Chiesa della Natività della Santissima Theotokos nel villaggio di Verkhnokamyanske, è stata gravemente danneggiata durante i bombardamenti russi.
“Ci arrivano in questi giorni messaggi di persone che ci chiamano e ci chiedono se siamo disposti ad accogliere e ospitare ragazzi in fuga dalla Russia. Hanno iniziato ad arrivarci messaggi di questo tipo tre o quattro giorni fa ed ora aumentano. Non sono organismi o enti. Sono, almeno per il momento, singole persone, privati cittadini che chiamano per sapere se possiamo aiutare magari un amico, un figlio che ha deciso di passare per il Kazakhstan per raggiungere da qui, qualche paese in Europa”.
Un appello a “tutti i paesi del mondo a non riconoscere gli pseudo-referendum tenuti dalle autorità di occupazione russe nei territori temporaneamente occupati dell’Ucraina” ed un invito alle autorità della Federazione Russa ad “abbandonare il piano criminale di annessione”.
“Un referendum in queste condizioni di guerra è impossibile. E’ una messa in scena costruita solo per l’opinione pubblica interna alla Russia, per giustificare agli occhi del popolo russo questo intervento militare in Ucraina”.
“Le autorità ucraine stanno consigliando agli uomini rimasti in questo territorio di non presentarsi al referendum e di nascondersi perché possono essere reclutati nelle forze russe. I referendum potrebbero cioè diventare un pretesto per prendere gli uomini”.
Un improvviso fuggi fuggi di giovani in fuga da Mosca. Ma lo spazio aereo da mesi è chiuso, non esistono voli diretti tra la Russia e i paesi dell’Unione Europea e gli unici possibili sono via Istanbul, Yerevan e Kazakhstan, ma “i prezzi dei biglietti sono folli”. Sono gli effetti del discorso pronunciato ieri dal presidente russo Vladimir Putin e della chiamata ad una “mobilitazione militare parziale”. Fino ad oggi, l’opinione pubblica ha sopportato. “Ma adesso, sopportare l’invio di un figlio o di un marito al fronte è diverso. Siamo in un momento critico”. A raccontare cosa sta succedendo in queste ore in Russia, è padre Giovanni Guaita, parroco della chiesa ortodossa russa, in questi giorni in Italia ma – dice - impaziente di tornare a Mosca. Per essere con la sua gente che in questi giorni gli telefona e scrive per consigliarsi sulla tragica decisione: fuggire o restare?
“È una situazione che non lascia tranquilli”. Interpellato sulle parole pronunciate questa mattina dal presidente russo Vladimir Putin, l’arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi russi, mons. Paolo Pezzi, non nasconde preoccupazione. E aggiunge: “Per me è difficile dire perché si è arrivati a questo punto. Secondo la Russia e secondo quanto si legge sui media locali, è per un allargamento del conflitto che coinvolge tutta la Nato. La pace, purtroppo, sembra allontanarsi. Penso che la strada sia quella indicata da Papa Francesco. E cioè quella di cercare di mantenere sempre dei canali aperti, di non chiudere mai. Senza negare come stanno le cose ma allo stesso tempo senza chiudere mai. Per me questa resta la via più fattibile”.
“Un momento” dal punto di vista “emotivo molto difficile”. “Anche se so che questa è una guerra, che porta sempre vittime, quello che mi ha commosso molto a Izyum sono i 50 soldati, poliziotti, giovani che hanno riesumato questi corpi. Lo hanno fatto con profondo rispetto e in perfetto silenzio…”.