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Rubriche | I Blog/L'alfabeto della politica - don Giorgio Bozza

lunedì 5 Novembre 2018

B di bene comune. Tutti ne parlano, ma che vuol dire?

Il vero politico? Ha il coraggio di scegliere, qui e ora, il vero bene per tutti

Giorgio Bozza

L’esperienza vissuta era simile a ciò che si prova quando un moscone, entrato in una stanza, inizia a ronzare sopra la nostra testa. Il relatore aveva iniziato il suo intervento sul bene comune oramai da più di tre/quarti d’ora, senza però averne ancora dato una definizione. Era un abile oratore – del resto, chi parla per un’ora senza dire nulla dev’essere per forza bravo! – e anche un po’ sadico: pur notando che l’assemblea non ne poteva più, continuava a far ronzare la sua voce con una certa soddisfazione. Terminata la relazione, è scattata la terribile domanda di chi, tra gli uditori, non ne poteva più: «Ma che cos’è questo bene comune? Lei ha parlato per un’ora, senza dirci cos’è».

Quante volte abbiamo sentito parlare di questo principio fondamentale della vita sociale? Viene citato in tutti gli ambiti della società, della politica, dell’economia, senza però darne una definizione. Ogni donna e uomo che decide di impegnarsi in politica lo fa – almeno a parole – per realizzare il bene comune: ma quale bene comune? Come si fa a costruire questo sommo bene se non si sa cos’è, se non si riesce a darne una definizione? È come voler edificare una casa senza sapere che cos’è, a cosa serve, rischiando di cominciare dal tetto, per concludere con le fondamenta.

Partiamo dalla definizione che ne dà un documento del Concilio Vaticano II: «Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni della vita sociale, con le quali gli uomini, la famiglia e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno e più spedito della propria perfezione» (Gaudium et spes, n. 74).

Qui non si parla subito di contenuti – lavoro, istruzione, abitazione, risparmio… – ma di condizioni che permettano alle persone di realizzarsi secondo le proprie attitudini, i propri sogni, in una parola: la propria vocazione. A fondamento di questo significato c’è la libertà della persona, che deve essere garantita e tutelata in tutte le sedi, e non rimpiazzata dalla volontà di chi governa la polis. Per realizzare le condizioni che permettano al cittadino di intraprendere questo cammino di perfezionamento, l’agire politico ha inoltre il dovere di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (Costituzione della repubblica italiana, art. 3).

“Coltivare il bene di tutti”, illustrazione di Gloria Bissacco.

Prima, però, di creare condizioni e rimuovere ostacoli, è indispensabile comprendere l’ambito in cui ci si trova a operare: di cosa c’è veramente bisogno nel territorio in cui vivo? È più urgente installare dei lampioni o creare nuovi spazi adibiti a sala lettura in biblioteca? Sistemare un marciapiede o arredare un ambiente in cui gli anziani possono ritrovarsi insieme? Questi sono tutti esempi che certamente creano le condizioni per un vivere migliore ma, viste le scarse risorse di un’amministrazione, si devono fare delle scelte e non sempre la scelta migliore è anche quella che porta un immediato ritorno di visibilità e consenso. Per questo, il vero politico si misura dal coraggio di scegliere, qui e ora, quale sia il vero bene per tutti.

Una corretta interpretazione di questo principio, infine, ci permetterebbe di sconfiggere il flagello della povertà che, secondo le parole di Amartya Sen – premio Nobel per l’economia nel 1998 – è l’impossibilità che ha una persona di poter svolgere la vita che amerebbe vivere.

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