IdeeLa presenza criminale in Veneto permane non solo nell’economia, ma anche nelle scelte ambientali. Discariche abusive, smaltimento di rifiuti: è qui che si insinua l’illecito
«L’Italia ha avuto negli anni Cinquanta e Sessanta un boom economico derivante dalla ricostruzione industriale. Questo ha portato alla creazione di discariche, per cui ora abbiamo delle cicatrici nel nostro territorio che stiamo cercando di sanare. La normativa italiana è molto stringente per quanto riguarda la gestione del ciclo dei rifiuti e la chiusura delle discariche: questo porta a grossi costi per le amministrazioni pubbliche e per i privati. Per aggirare i costi si introducono le mafie, in senso allargato, mi riferisco per esempio a imprenditori che prendono i rifiuti industriali e li sotterrano». Ha spiegato in questi termini il nesso tra mafie e danni ambientali il tenente colonnello Alessio Tommaso Fusco, in veste di sub commissario alle bonifiche. Il suo intervento si è inserito nella rassegna “Mafie in Veneto-Presenza nell’economia e nell’ambiente”, un ciclo di incontri in tre giornate terminato venerdì 31 gennaio all’auditorium del Museo del ‘900 di Mestre. La seconda edizione dell’evento è stata organizzata dalla sezione regionale del Veneto dell’Albo Gestori ambientali con Unioncamere Veneto, Libera e il Comitato Imprenditoria femminile della Camera di commercio Venezia Rovigo. Si è discusso della presenza della criminalità organizzata in Veneto (i reati spia come usura, estorsione e riciclaggio di denaro, truffe e frodi informatiche, nel biennio 2022- 2023 sono stati 55.824, con una crescita del 68 per cento rispetto al biennio pre-pandemia); dell’imprenditoria femminile come risposta; l’ultimo giorno è stato dedicato ad ambiente, bonifiche e territori. Ed è proprio nella giornata di venerdì che si è analizzato il nesso tra danni ambientali e interessi economici. Gli interventi sono stati legati da un fil rouge che è partito da una ricognizione della legislazione in vigore per la tutela ambientale; sono quindi seguiti interventi più tecnici in tema di bonifiche dei territori contaminati, fino alla presentazione di alcuni casi di risanamento ambientale come quelli illustrati da Fusco: «Grazie a un grande lavoro e a ingenti risorse abbiamo bonificato spiagge e territori fortemente inquinati, realizzando, per esempio, parchi astronomici, aree per famiglie o piste ciclabili. L’iter, tuttavia, non è semplice. Quando vi sono siti in odore di criminalità i Comuni chiamano le task force, carabinieri o polizia, che vanno a indagare situazioni che possono essere pubbliche o private. Se troviamo casi di illegalità partono i due filoni amministrativo-giudiziario e tecnico – ha spiegato il tenente colonnello – Il Veneto è una regione molto industrializzata che produce rifiuti da smaltire in una certa maniera, con costi importanti. Complessivamente la regione è virtuosa, ma bisogna vigilare». Proprio in merito alla situazione in Veneto è stato presentato un best case, un esempio virtuoso di risanamento. A illustrare il caso di Tezze sul Brenta, nel Vicentino, è stato Roberto Pedron, direttore dei lavori: «Qui dagli anni Settanta è stato versato cromo esavalente nel terreno, una sostanza tossica che è arrivata fino alle falde acquifere causando gravi problemi sanitari alla popolazione. I primi fondi sono arrivati solo nel 2015 ma si è dovuto attendere il 2023 per l’inizio dei lavori di bonifica, grazie a uno stanziamento di 7 milioni e 844 mila euro da parte della Regione del Veneto. Il finanziamento pubblico si è reso necessario perché il responsabile della contaminazione, che riguarda un’area di 20 chilometri quadrati , non ha effettuato gli interventi richiesti. Il nucleo dello sversamento è di 1.100 metri quadrati ma arriva a oltre venti metri di profondità, quindi si è scelto di racchiudere il cromo e metterlo in sicurezza».
L’esempio testimonia che con impegno (e risorse) si può ridare valore al territorio, suggerendo che l’iter per arrivare al risanamento è dunque complesso e costoso ma necessario, non solo per l’ambiente. Oltre ai danni ambientali, già di per sé gravi per il Paese, una sentenza europea del 2014 ha comminato sanzioni all’Italia per 40 milioni di ero per infrazioni causate da 200 siti, più altri 42 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell’avvio delle bonifiche. Per questo nel 2017 la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’ambiente hanno istituito il Commissario unico per la bonifica delle discariche e dei siti contaminati, un ente preposto alle indagini e all’attuazione degli interventi di risanamento del territorio. Attualmente l’incarico è rivestito dal generale dei carabinieri Giuseppe Vadalà, ma la task force si compone anche di tecnici. Grazie al lavoro del Commissario, a oggi sono rimasti solo sette siti da regolarizzare, consentendo quindi una riduzione consistente delle sanzioni. Del team di esperti fa parte anche la geologa Marianna Morabito che ha spiegato le difficoltà delle procedure di bonifica: «La parola chiave dell’iter è caratterizzazione, che consiste nelle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione e quindi di ottenere informazioni sulla cui base adottare le decisioni relative alla bonifica e messa in sicurezza del sito. Questo processo può essere molto lungo, può durare alcuni anni anche perché i vincoli paesaggistici, archeologici e urbanistici possono ulteriormente rallentare l’iter. I costi rappresentano un altro problema perché non sempre i fondi sono disponibili e, infine, va considerata anche la complessità normativa. La legge più importante è la 152 del 2006 che è articolata e soggetta a continue revisioni». Al termine della tre giorni il bilancio è in chiaroscuro. A fronte dei molti problemi, altrettante sono le idee e le soluzioni. Tra queste, il prefetto di Venezia Darco Pellos ha presentato il progetto “cantiere digitale” – presente in un protocollo siglato tra Agenzia contro la corruzione (Anac), Ministero dell’interno e prefetture – che, se approvato, porterà all’inserimento di un chip nei caschi degli operai nei cantieri, al fine di monitorare l’entrata e l’uscita dalle aree dove sono in corso i lavori, verificando l’eventuale presenza di estranei in odore di illegalità.
Quanto sono radicate le mafie in Veneto? Durante la tregiorni di rassegna sono Libera e il Dipartimento di economia dell’Università Ca’ Foscari a fornire dati e numeri: nel biennio 2022-2023 i beni confiscati alla mafia in Veneto sono stati 492, dieci anni fa – era il 2014 – se ne registravano 98. Nello stesso biennio le prefetture venete hanno emesso 270 interdittive antimafia, un maggiore addirittura del 1.185 per cento rispetto al biennio 2018 -2019. Sempre negli ultimi anni di riferimento di cui si dispongono i dati, nel 2022 e nel 2023 si sono registrate 22.074 operazioni sospette quali versamenti, prelievi, transazioni potenzialmente indice di sospetti riciclaggi, più 29 per cento rispetto agli anni pre-Covid. Per il prefetto Pellos, grazie all’intelligenza artificiale, le prefetture potranno accedere a informazioni su aziende che hanno «variabili sospette».
