Lavorare nei campi e intraprendere un cammino di rinnovo morale e civile. Impegnarsi nella fatica per fare meno fatica rinascita che non conceda spazio ad altri sbagli. Possono essere questi alcuni degli obiettivi (quasi sempre raggiunti) che portano i detenuti, oppure gli ex detenuti, ad impegnarsi in agricoltura. Che diventa così ambito privilegiato anche per questo tipo di attività. Certo, non è facile. Ma si può fare, e le esperienze in questa direzione ci sono.
Del tema si è parlato qualche giorno fa in occasione della presentazione del rapporto Censis/Cnel “Recidiva zero” sull’importanza dell’attività lavorativa nelle carceri. Il lavoro nei campi e nelle stalle da parte di detenuti e ex detenuti, fa parte della cosiddetta agricoltura sociale che, in questo modo, rappresenta oggi uno strumento prezioso per il reinserimento lavorativo di queste persone nel mondo del lavoro e nella società. E numerosi sono ormai i progetti realizzati da quelle che, per esempio, Coldiretti chiama “fattorie solidali”, una rete che in Italia conta circa novemila aziende che lavorano nel segno di un welfare rurale che sta conquistando sempre più attenzione. È quanto emerge da un’analisi di Coldiretti e Campagna Amica su dati Welfare Index Pmi.
Proprio l’organizzazione dei coltivatori fa notare come siano ormai diversi i casi di iniziative e corsi promossi spesso direttamente nelle carceri italiane o in azienda per il reinserimento lavorativo di ex detenuti. I coltivatori ne vanno giustamente orgogliosi e spiegano: “In questo modo l’agricoltura ha contribuito in maniera significativa al miglioramento della qualità della vita di migliaia di persone, che hanno ricevuto formazione e, in molti casi, sono stati presenti quotidianamente nelle aziende agricole”. Per questo, tra l’altro, è stato recentemente sottoscritto un protocollo d’intesa per aumentare le opportunità occupazionali dei detenuti.
Ma che cosa fanno i detenuti oppure gli ex detenuti in agricoltura? Uno degli ultimi esempi è un progetto realizzato a Poggioreale. “Oltre le sbarre con l’aeroponica” è nato da un’idea di Luigi d’Alessio, operatore socio-culturale, socio attivo dell’Aps Oltre il Giardino, per il recupero di un’area verde all’interno delle mura carcerarie, della Casa Circondariale di Poggioreale-Napoli. Utilizzando tecniche agronomiche innovative come l’aeroponica i detenuti coltivano piante fitoterapiche, in modo semplice e accessibile. Un’attività che non solo apre nuove opportunità di apprendimento e lavoro per i detenuti, ma crea un circolo virtuoso di inclusione sociale. Qualcosa che non si ferma al carcere ma arriva ai mercati. Le piante coltivate, infatti, vengono commercializzate attraverso i mercati di Campagna Amica di Coldiretti. Questo significa non solo un’opportunità di reinserimento e dignità per chi ha sbagliato, ma anche un ponte concreto tra la realtà della Casa Circondariale e la comunità esterna.
Certo, non basta qualche pianta coltivata con tecniche attente all’ambiente per cambiare completamente l’orizzonte di chi è stato in carcere. Ci vogliono, come è naturale che sia, impegno, volontà, caparbietà nel voler cambiare vita e prospettive. L’agricoltura, tuttavia, può davvero rappresentare un’alternativa seria partendo non solo dalla produzione di alimenti ma dalla capacità di dare vita ad imprese multifunzionali, cioè in grado di produrre cibo ma anche benessere, attenzione all’ambiente e sensibilità umana. E coinvolgere persone in cerca di un futuro.