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Case funerarie in Veneto. Il lutto come celebrazione. La rivoluzione culturale in corso nell’ultimo saluto
Case funerarie Un luogo e un tempo adeguato per l’ultimo saluto, rispondendo a un bisogno crescente di raccoglimento
Case funerarie Un luogo e un tempo adeguato per l’ultimo saluto, rispondendo a un bisogno crescente di raccoglimento
«Come diceva un grande antropologo della morte, Louis Vincent Thomas “I riti per i defunti servono per la pace dei vivi”. Noi diamo alle persone la possibilità di dire addio ai propri cari con un tempo congruo». È questo il principale servizio offerto delle case funerarie secondo Chiara Schiavo, direttrice della casa funeraria Arthemis di Padova. Nate negli Stati Uniti intorno agli anni Sessanta e successivamente esportate in Europa, prima in Inghilterra e poi in Francia e Spagna, le case funerarie sono arrivate in Italia solo nei primi anni Duemila registrando un vero e proprio boom. Ma che cos’è una casa funeraria? «È sostanzialmente una catacomba – spiega Schiavo – Nelle catacombe c’era una stanza dedicata al defunto e una per i vivi, che avevano a disposizione tutto il tempo necessario per accompagnarlo nell’aldilà. Così la nostra casa funeraria, una “casa bianca” aperta a tutte le imprese funebri del territorio che non ne possono avere una propria, è costituita da sei stanze di esposizione, un angolo riservato ai bambini, una sala autoptica, una stanza con celle frigorifere, una sala deposito e osservazione. E ancora, una sala del commiato che può ospitare anche riti laici o di altre fedi e una sala per il cinerario, ovvero un enorme armadio artistico con trecento posti urna». Sono sette le case funerarie nel Padovano: oltre ad Arthemis, casa funeraria Carraro a Villanova di Camposampiero, casa funeraria Brogio a Cadoneghe, casa funeraria Eos a Merlara, casa funeraria Boraso a Montagnana, casa funeraria Santinello a Padova, casa funeraria Marcolongo a Saccolongo e, sempre nella città del Santo, Barbiero sta lavorando per l’apertura di una propria. Queste strutture private, che accolgono la salma per un ultimo saluto prima della sepoltura, vengono utilizzate per l’osservazione, la tanatoestetica, la vestizione e l’esposizione della salma. Il feretro può essere aperto o chiuso (a differenza delle sale del commiato dove dev’essere necessariamente chiuso). Sono generalmente aperte agli animali – «spesso ci dimentichiamo il loro dolore, ma le scene che vediamo sono commoventi» racconta Schiavo, si possono decorare ad hoc, dispongono di schermi sui quali proiettare immagini o video del defunto e in molti casi esiste anche un’area ristoro (con tavolini, sedie e macchina per il caffè) dove volendo si può portare anche qualcosa da mangiare o bere. «C’è una comunità filippina che ci affida i propri defunti – racconta Schiavo – se nelle Filippine i riti funebri hanno una durata di 15 giorni, in casa Arthemis si svolgono nell’arco di una settimana nel corso della quale le persone si ritrovano nella nostra struttura, vengono offerti cibo, bevande, fiori e così facendo hanno la possibilità di elaborare la perdita». Ma se da un lato i motivi dell’esplosione delle case funerarie sono più facilmente individuabili – basti pensare alle abitazioni sempre più inadatte a ospitare un feretro, all’invecchiamento della popolazione e all’aumento della richiesta di riti laici – altri sono nascosti tra le pieghe di un mondo che si è trovato a fronteggiare una pandemia globale. Spiega Ines Testoni, docente di psicologia sociale presso il Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata (Fisppa) dell’Università di Padova e direttrice del master “Death studies & The End of Life” nello stesso Ateneo: «Per tutto il Novecento siamo stati gravemente esposti a una fortissima angoscia di morte che dalla seconda guerra mondiale in poi eravamo riusciti a ridurre grazie al benessere, alla qualità della vita, allo sviluppo. Con il Covid ci siamo resi conto che tutto questo era stato controproducente perché i livelli di angoscia sono stati amplificati in maniera estremamente evidente e anche molto difficile da gestire». Prosegue Testoni: «Abbiamo realizzato che, a causa della censura subita rispetto agli argomenti della morte, mancavano le categorie; per questo ora sta succedendo una cosa estremamente significativa: le persone stanno cercando di riappropriarsi di quella cultura che prima del Novecento faceva parte della vita sociale e comunitaria». Su questa scia molti professionisti, anche grazie al master patavino, hanno fatto propria la mission di cambiare il volto della società rispetto al rapporto con la morte: tra loro anche molti operatori funebri, gli stessi che stanno creando servizi all’interno delle loro onoranze funebri o si stanno formando per offrire ritualità alternative. E se per Epicuro «quando ci siamo noi, la morte non c’è; e quando c’è la morte noi non ci siamo» e per Wittgenstein «la morte non è un evento della vita: non si vive la morte», oggi le cose stanno cambiando, almeno per quanto riguarda la possibilità di programmare come essere celebrati. «Soprattutto grazie a internet – spiega Testoni – si è iniziato a parlare della morte anche con ironia, basti pensare a Taffo e ai suoi slogan ormai iconici, e sono nati i funeral planner che organizzano i funeral party. È una vera e propria rivoluzione culturale: le persone vogliono un rito che le riconosca come soggetti della propria vita e della propria morte. Per questo è importante che i ministri di culto di tutte le religioni non si muovano con autorità politica per imporre una morale, ma che siano capaci di far comprendere e di dare accesso alla trascendenza, un’apertura alla luce che ci aspetta dopo la morte».
Negli ultimi anni i funerali laici sono aumentati in modo importante e, conseguentemente, è aumentata la richiesta di spazi adeguati dove celebrarli. «A Padova una sala del commiato è stata costruita nel 2012, anticipando i tempi e dando già allora delle risposte al territorio – afferma Francesca Benciolini, assessora del Comune di Padova con delega ai Servizi cimiteriali – ma nonostante i lavori per aumentarne la capienza e renderla più confortevole non basta più. Per questo stiamo ragionando sulla possibilità di averne anche un’altra o di aumentare ulteriormente la capacità di quella già esistente». La sala del commiato di Padova si trova presso il Cimitero maggiore, è un locale dove non è presente alcun simbolo religioso e ha una capienza massima di duecento persone (140 sedute e 60 in piedi). Ha ospitato 46 riti laici nel 2023, 51 nel 2024 e già sei nei primi due mesi del 2025. È dotata di microfono, leggìo e impianto audio-video per l’eventuale riproduzione di foto, filmati e musiche. E se fino a qualche mese fa, complice anche la vicinanza all’impianto crematorio, era un’opzione solo per chi sceglieva quest’ultima, oggi può essere utilizzata anche se la salma è poi destinata all’inumazione o alla tumulazione in loculo.
Cambiano i riti e cambiano anche le sepolture: «A Padova si registrano oltre il 70 per cento di cremazioni – spiega Benciolini – Numeri molto alti che richiedono risposte diverse anche dal punto di vista delle pratiche e delle tipologie di luoghi in cui le sepolture avvengono». Cambiano i riti, cambiano le sepolture e cambiano i cimiteri: «C’è stato il periodo dei “palazzinari”, quando si è iniziato a costruire i loculi fuori da terra, in cui il cimitero era quasi un condominio. Ora li trasformiamo in ossari perché c’è molta meno richiesta di loculi rispetto alla cremazione o alla sepoltura in terra». Cambiano i riti, cambiano le sepolture e cambiano i cimiteri…perché cambia la società: nel Cimitero maggiore di Padova c’è, per esempio, una zona dedicata alle sepolture islamiche. «Le prime salme islamiche sono state seppellite nella sezione degli acattolici del cimitero maggiore perché i cimiteri erano considerati terra consacrata – racconta ancora Benciolini – In realtà il cimitero non è un luogo di per sé sacro, perché è gestito dal Comune, che non è un ente religioso, secondo leggi laiche». Poi è arrivato il Covid: «Improvvisamente e per diversi mesi, le salme delle persone di religione islamica non si sono più potute rimpatriare come generalmente accadeva. È sorta così l’esigenza di avere dei luoghi capienti per poter garantire una sepoltura secondo un rito diverso da quello per noi più “tradizionale”». «Oggi questa richiesta si è ampliata – conclude Benciolini – perché molte persone che aderiscono alla religione islamica, vivendo a Padova da molti anni e avendo qui amici e familiari, scelgono di far seppellire nella nostra città i loro cari, per cui a maggior ragione è necessario dare risposte».
Secondo il sito internet www.casefunerarie.it in Italia ci sono quasi 750 strutture che mettono a disposizione case funerarie e sale del commiato. Numeri altissimi in Lombardia con quasi 270 imprese, in Veneto se ne registrano 39. In queste realtà c’è la possibilità di appoggiarsi alla sala del commiato della casa funeraria per un rito laico o di altre religioni oppure si può proseguire con il funerale in chiesa.