Quanto dovrà ancora spremerci, questa maestra dura che di nome fa Pandemia, e che è sopraggiunta a noi con gli austeri colori violacei della Quaresima, perché impariamo che siamo davvero tutti sulla stessa barca, e che abbiamo tutti bisogno dell’amore e della cura gli uni degli altri?
Il cielo è fosco, la pioggia sferza l’abito bianco di Francesco, infligge nuovi tormenti al corpo di quello stesso Crocifisso che mezzo millennio fa venne invocato dai fedeli contro la peste. Ed ora se ne sta lì, le braccia stese, le labbra aperte, vicino all’icona di Maria “salvezza del popolo romano” che una pia leggenda vuole dipinta dall’evangelista san Luca
Quella che proviamo in questi giorni non è esattamente paura, ma un dilagante e profondo stato di angoscia, che tocca i nostri corpi, oltre che la nostra psiche e le nostre relazioni con il mondo.
In questi giorni di pandemia da Coronavirus stiamo vivendo un senso di smarrimento e di incredulità vedendo immagini e ascoltando notizie di tanti malati e di tanti morti; la sicurezza dell’Occidente, consolidata da molti anni di benessere e di buona organizzazione sociosanitaria, ha iniziato a presentare qualche sfaldamento e a tratti persino angoscia alla consapevolezza di un’assenza di cure specifiche.
«Nulla è e sarà come prima dell’epidemia. Intanto dobbiamo superare la crisi, ma poi avremo molto da dire sul piano clinico e su quello dell’organizzazione dei servizi».
Dio ci darà la forza di pregare per noi e per tutti gli altri, se accetteremo che questa è la missione che ci deriva dall’essere sin dal Battesimo membra del Corpo dell’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, che è la prova vivente e vittoriosa della misericordia di Dio su qualunque presunta giustizia retributiva
La proposta lanciata da Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale e responsabile per il terzo settore delle Acli, per rispondere all’emergenza coronavirus. “Necessario salto in avanti, anche raddoppiando i fondi esistenti”