Dopo Brexit, è l’Italia il banco di prova per la democrazia e il progetto europeo

“Se ce la facciamo in Italia, ce la facciamo anche in Europa”. Frans Timmermans, vice presidente vicario della Commissione europea, è olandese, ma tra le varie lingue che parla fluentemente c’è l’italiano. Ha studiato a Roma, segue con interesse le vicende politiche tricolori e da Bruxelles spiega: “In Italia occorre modernizzare l’economia, sostenere l’occupazione” e puntare a un complessivo rilancio istituzionale, per una risposta più efficace alle “concrete attese dei cittadini”.

La lezione della Brexit: una vera classe dirigente non delega le sue responsabilità

Il voto per la Brexit è figlio dell’Inghilterra profonda, dei ceti popolari, degli anziani. Ma gettare ogni colpa sul cittadino medio, magari già in là con gli anni e incattivito dal peggiorare delle condizioni di vita, significa non cogliere il problema. Semmai, il disastro causato da Cameron chiamando gli inglesi alle urne può spingerci a sollevare un interrogativo che a qualcuno parrà politicamente scorretto, ma che a noi sembra invece ineludibile: davvero “dare la parola ai cittadini”, sempre e comunque, segna il trionfo della democrazia? O c’è una responsabilità che le classi dirigenti non possono delegare di fronte a problemi così complessi?

Brexit con occhi britannici: “Un’occasione per rinnovare la nostra democrazia e l’economia”

L'economista della st. Mary’s University di Londra Philip Booth, che ha votato per restare nell'Ue nonostante tanti dubbi, ritiene che non ci saranno comunque ripercussioni negative per il suo Paese. E analizza i riflessi del voto sulle classi sociali meno abbienti e sugli stranieri arrivati nel Regno Unito. Sui negoziati per il distacco tra Londra e Bruxelles prevede tempi lunghi.