Idee
Nei giorni scorsi è apparsa la notizia che in Lituania i bambini vengono addestrati alla costruzione di droni anche, se non soprattutto, in previsione di un attacco aereo da parte della vicina e minacciosa Russia.
Il clima di paura nel quale questa scelta ha trovato le ragioni e che si sta sempre più diffondendo può essere sufficiente per giustificare una simile scelta? Si può definire educativa una proposta del genere? Può essere questo un percorso verso la pace da proporre ai piccoli?
Domande che ritornano dopo che nel mondo si sono visti e ancora si vedono bambini-soldato che sono stati e ancora sono addestrati a uccidere, piccoli che vengono mandati a seminare e a subire morte. Non giocano alla guerra. Sono storie molto diverse tra loro ma tutte feriscono l’innocenza e spengono i sogni.
Costruire droni come strumenti di gioco che possono diventare strumenti di guerra non può essere un divertimento, non può essere immaginato come gioco.
Si legge in una filastrocca attribuita a Bertold Brecht: “I bambini giocano alla guerra. È raro che giochino alla pace perché gli adulti da sempre fanno la guerra, tu fai ‘pum’ e ridi; il soldato spara e un altro uomo non ride più. È la guerra. C’è un altro gioco da inventare: far sorridere il mondo, non farlo piangere”.
Gli adulti sono pronti a trovare parole adatte per convincere i piccoli che di fronte a un allarme, a un’aggressione, a un nemico è necessario che anche loro si armino per difendere la loro casa, la loro scuola, la loro città.
La responsabile del programma lituano scolastico per i droni afferma: “Credo che in questo modo si forniscano ai bambini abilità che possono essere utilizzati anche per la difesa”.
Sembra un ragionamento logico e alcuni addirittura lo definiscono patriottico: in realtà rivela un tradimento del diritto a un futuro senza guerre e violenze.
La notizia arrivata dalla Lituania, ma anche da altri Paesi ai confini con la Russia, parla di un fallimento dell’educazione di cui sono responsabili gli adulti.
Nessuno può chiamare gioco ciò che rimanda al devastante incedere della guerra, della violenza, del male.
Pone domande graffianti il sorriso dei piccoli lituani che giocano con i droni.
L’uso delle parole è per tutti importante e ancor più lo diventa quando ci si rivolge a quanti stanno crescendo e hanno il diritto di vivere il gioco come esperienza di incontro con l’altro e non come difesa dall’altro o come rifiuto dell’altro.
C’è un altro gioco da inventare: far sorridere il mondo, non farlo piangere.