C’è un’Europa contraria al riarmo. La Rete italiana Pace e Disarmo di fronte al piano Von Der Leyen su ReArm Europe

Una conferenza di pace Per la Rete italiana Pace e Disarmo, l’Ue oggi dimostra una mancanza di ideali e politica, che erano la ragione della sua fondazione. 800 miliardi di euro per sostenere la spesa militare dei Paesi membri. Chi si oppone a questa scelta ne sottolinea le incongruenze: non avremo una difesa comune, ma tante difese, e le armi saranno comunque made in Usa

Filippo Maragotto

Il nome è il programma: ReArm Europe. Il Consiglio europeo straordinario ha approvato il 6 marzo il progetto della Commissione Europea per aumentare – fino a 800 miliardi di euro – la spesa militare dei Paesi membri dell’Unione e garantirsi così una protezione dopo che, con la presidenza Trump, gli Stati Uniti sembrano non voler più fare da “garanti”. Il via libera a corposi investimenti per la difesa, presentati dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen come necessari in «un’epoca di riarmo», sarà definitivo dopo l’approvazione di proposte attuative previste per il mese di marzo. Il riarmo dovrebbe essere finanziato in due modi: 650 miliardi di euro da investimenti in quattro anni dei singoli Paesi in deroga al Patto di stabilità, i restanti 150 miliardi da prestiti (eurobond) emessi dalla Commissione e garantiti dal bilancio dell’Ue. Una strada che segna un cambiamento radicale nella politica comune europea e che – se imboccata – rappresenta un impegno economico. «Una strada insensata sia dal punto di vista politico che sotto l’aspetto tecnico – sintetizza Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana Pace e Disarmo, raggiunto mentre è a New York per la conferenza del Trattato contro le armi nucleari – Presi dalla foga delle cifre rischiamo di dimenticare che da tre anni c’è stata un’accelerazione verso il riarmo. Da anni si invitano gli Stati europei a spendere di più per le armi e si investe per dare sostegno all’industria militare. Oggi si parla di 800 miliardi, cifra che appare ambiziosa e probabilmente è esagerata, ma il piano della Commissione non viene dal nulla. Le spese per il riarmo sono raddoppiate dal 2001 e le guerre continuano a scoppiare». La seconda perplessità di Vignarca è legata dal bilancio europeo: «Fino a qualche anno fa era impensabile aumentare il deficit europeo, non si potevano fare spese per la scuola, l’ambiente, la sanità. Ora invece si aprono tutte le porte per riarmarsi». Tecnica è invece l’osservazione che sottolinea l’incongruenza tra necessità di protezione e il tipo di investimenti previsto. «Se davvero c’è bisogno di protezione serve una difesa comune europea, mentre ReArm Europe va proprio nella direzione opposta, avallando scelte diverse per ciascuno dei 27 Paesi e finanziando solamente l’industria delle armi, impedendo la convergenza per una politica di difesa comune che si realizza attraverso politiche estere e di difesa comuni e poi preparando un esercito. Favorita sarà solo l’industria bellica americana perché quella europea non è in grado di sostenere la produzione». Amara la conclusione del Coordinatore delle campagne della Rete italiana Pace e Disarmo: «Il complesso militare comanda sulla politica. La finanza internazionale, attraverso i grandi fondi, controlla l’economia, la spesa militare e la comunicazione che è il vero potere oggi». Quali invece potrebbero essere le prospettive alternative? «Il continuo aumento delle spese militari ha già dimostrato di essere fallimentare. Come coordinamento proponiamo dall’inizio della guerra in Ucraina una conferenza di pace che prenda in esame tutte le guerre attualmente in corso. Dobbiamo prendere atto che non c’è più un equilibrio e cercare una stabilità nuova. Di certo l’Europa sta evidenziando una mancanza ideale e politica, che era la vera ragione della sua fondazione».

«In una situazione di grande incertezza ci stiamo prendendo impegni senza davvero sapere come realizzarli e rispetto ai quali ci sono altri attori, Trump e Putin, che non controlliamo – rimarca Antonio Varsori storico delle relazioni internazionali, professore emerito della Scuola di economia e scienze politiche dell’Università di Padova – I 27 Paesi dell’Unione hanno già manifestato posizioni diverse rispetto all’uso dei fondi, e non è chiaro come ci posizioniamo rispetto agli Usa e all’Alleanza atlantica. Ho perplessità non sulla decisione politica quanto sull’effettiva realizzazione. Investiamo sul riarmo in una fase in cui i maggiori Paesi europei vivono difficoltà: la Germania è in crisi, la Francia non sta bene e l’Italia ha un enorme deficit. Soprattutto le opinioni pubbliche sapranno sostenere restrizioni alla spesa sociale, per la sanità, per le pensioni? Questo programma sembra una risposta per dimostrare che l’Ue esiste ancora, per non limitarsi a guardare quello che fa Trump e proporsi come protagonista nella questione Ucraina. Ma non sappiamo nemmeno chi rappresenterà l’Europa in un negoziato (che si fa in Arabia Saudita, perché?) e quale accordo potrebbe essere per noi soddisfacente. Possibile una soluzione di tipo coreana, senza una pace ma con una tregua temporanea che di fatto è diventata definitiva. E il come si risolve il conflitto potrebbe rendere meno indispensabile il forte investimento in armi». In chiave storica, Varsori suggerisce una de-europeizzazione del nostro sguardo: «Guardiamo troppo all’Europa ma negli ultimi 15 anni il mondo è radicalmente cambiato: molti Paesi già potenze economiche vogliono avere un ruolo politico e sono meno interessati di noi a quanto succede in Ucraina».

Zuppi: una Camaldoli europea contro i nazionalismi

«Dobbiamo investire nel cantiere dell’Europa che non sia un insieme di istituzioni lontane, ma una madre della speranza di un futuro umano». A sostenerlo è Matteo Maria Zuppi, presidente Cei. Un’Europa che «non rinunci mai a investire nel dialogo come metodo per risolvere i conflitti, per non lasciare che prevalga la logica delle armi, per non consentire che prenda piede la narrazione dell’inevitabilità della guerra, per aiutare i cristiani e i non-cristiani a mantenere vivo il desiderio di una convivenza pacifica, per offrire spazi di dialogo nella verità e nella carità». Zuppi rilancia una «Camaldoli europea» come risposta ai nazionalismi che sono «in contraddizione con il Vangelo, che vestono nuovi panni, che dettano politiche e che indicano nemici». Un «demone» che «non è amore per la patria, ma chiusura miope ed egoistica».

Una piazza per l’Europa: l’iniziativa sabato 15 a Roma

Sabato 15 marzo, alle 15, piazza del Popolo a Roma accoglie il desiderio di ribadire con forza il bisogno di unità e di pace con l’iniziativa “Una piazza per l’Europa” lanciata da Michele Serra e Repubblica. Tantissime le realtà presenti: le Acli sono pronte a sventolare una bandiera europea di venti metri per trenta. «Non possiamo lasciare che la carneficina continui – affermano Marco Mascia, del Centro patavino diritti umani “Antonio Papisca”, e Flavio Lotti della Fondazione PerugiAssisi, presenti sabato – Non possiamo lasciare che l’Europa precipiti in uno stato di guerra permanente. Non possiamo permetterci una folle e sconclusionata corsa al riarmo che alimenta disperazione e autoritarismo. Non possiamo permetterci la militarizzazione delle nostre vite e dell’economia. Non possiamo lasciare che ci tolgano la salute, la libertà e la democrazia».

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